di Nicola Magni
C’è un filo che unisce la terra bergamasca ai progetti di sviluppo nel mondo: è quello dell’impegno di Maurizio Martina, ex ministro dell’Agricoltura e segretario nazionale del Pd nel 2018, in precedenza segretario provinciale dei Democratici di Sinistra di Bergamo (nel 2004) e oggi vicedirettore generale della Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il cui obiettivo è un mondo più giusto e sostenibile.
Quali sono state le tappe che l’hanno portata fino al prestigioso ruolo nella Fao?
«Direi che molta parte delle premesse le devo all’esperienza maturata da ministro dell’Agricoltura dal 2014 al 2018 e all’attività parlamentare successiva, sempre legata ai temi agricoli e alimentari. Grazie al percorso fatto, anche in ambito europeo e internazionale, ho avuto la possibilità di entrare in Fao e di iniziare il mio impegno nell’agenzia multilaterale delle Nazioni Unite dedicata allo sviluppo di questi temi».
Quanto conta, nel suo modo di intendere il lavoro e la cooperazione internazionale, il legame con la sua terra d’origine?
«Direi che è davvero un legame di sangue e di spirito. Puoi essere distante migliaia di chilometri, ma, per me almeno, ci sono sempre dei gesti, delle parole, un modo di essere che mi riconduce alla terra bergamasca».
In cosa consiste, concretamente, il suo ruolo alla Fao?
«Attualmente mi occupo principalmente di Medio Oriente, Europa e Asia centrale. Sono anche responsabile delle attività di partenariato e di alcune aree interne importanti, come le finanze, il procurement (il sistema di ricerca e acquisto di beni e servizio di cui un ente ha bisogno, ndr) e la logistica».
Qual è la parte più complessa e quale la più gratificante del coordinare un’organizzazione di respiro mondiale?
«È un lavoro affascinante. Richiede molta professionalità, perché ogni azione, gesto e reazione acquista un significato particolare, spesso molto delicato dal punto di vista diplomatico e geopolitico. La parte più gratificante è sicuramente quella legata allo sviluppo operativo dei progetti sul territorio: quando vedi concretamente che un progetto di cooperazione nato sulla carta si traduce in realtà, magari in villaggi sperduti dall’altra parte del mondo, allora capisci che quello che hai fatto ha aiutato la vita di persone e comunità».
Come si concilia la dimensione tecnica del suo lavoro con quella più diplomatica e politica?
«Direi che le due dimensioni si tengono strette (…)