Di Ezio Foresti*
In occasione della prima neve a quote basse, tipica di fine novembre/inizio dicembre, si è creato nel tempo un rituale laico, almeno qui in bergamasca. Questa cerimonia social ha requisiti ben precisi: all’inizio più persone espongono sulle loro bacheche di Instagram o di Facebook un’immagine relativa al famoso anno della Grande Nevicata, il 1985. Le pubblicazioni seguono un codice rigoroso, perché devono necessariamente riprodurre una foto dell’epoca, e rappresentare almeno un congiunto di secondo grado.
Il testo più diffuso naturalmente è “io c’ero”, a volte nella versione nostrana “mé ghe sére”, accompagnato dalla descrizione del genitore, del figlio o del parente. Su questo canovaccio si disegnano poi le vicende quotidiane di un’intera provincia, ambientate in quel giorno leggendario che tutti ricordano, anche quelli che non erano ancora nati. Era il 13 gennaio, ma non importa, un simbolo è un simbolo, non ha bisogno di limiti temporali.
Al primo sguardo emergono le difficoltà, gli inconvenienti anche pesanti, come “dò ure a tirà fò la màchina de la niv”, o “ch è l dé lé só mia ‘ndàcc a laurà”, gravissima mancanza per gente come noi. Leggendo più nel profondo si scoprono storie magiche, momenti di consapevolezza rari, avventure vissute in un abbacinante panorama alieno.
Ogni più piccolo spostamento implicava una volontà granitica, perché le auto non si riuscivano a estrarre dai garage, e camminando si affondava fino al ginocchio. Tutti erano del tutto impreparati a una precipitazione così abbondante, e persino noi, attivissimi orobici, non eravamo riusciti a riattivare immediatamente la circolazione.
In compenso, non si sentivano quasi suoni, e il mondo si era come fermato, in un enorme spazio bianco che, per una volta, non aveva voglia di essere scritto. Forse proprio per questa pausa, per questa sospensione quello è un giorno che portiamo tutti nel cuore.
*in memoria
Foto in alto: l’ingresso del cinema Rubini in via Paleocapa