Una multa da 40 mila euro e un divieto di diffusione: è il provvedimento che il Garante per la protezione dei dati personali ha imposto alla società Quarantadue Srl, produttrice della serie Netflix Il caso Yara – oltre ogni ragionevole dubbio.
Al centro della decisione ci sono alcuni messaggi vocali e telefonate dei genitori di Yara Gambirasio, materiale che secondo l’Autorità non avrebbe mai dovuto arrivare al pubblico.
Il messaggio della mamma in segreteria
Come ha riportato L’Eco di Bergamo, la vicenda riguarda decine di file audio: «24 nel primo episodio, 19 nel secondo e 3 nel terzo», come è scritto nel documento del Garante.
Si tratta di telefonate e messaggi che i genitori di Yara avevano lasciato nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della figlia, residente a Brembate di Sopra. Tra questi, anche un messaggio vocale che la mamma aveva lasciato nella segreteria telefonica della figlia quando ancora non si conosceva la drammatica sorte.
Per l’attenzione morbosa degli spettatori
Per l’Autorità, quei contenuti non avevano alcun valore informativo né attinenza con le indagini: «Detti files audio non hanno alcuna attinenza con le indagini e sono stati inseriti nella trasmissione all’unico, evidente scopo di sollecitare l’attenzione morbosa degli spettatori».
Il Garante ha giudicato la loro diffusione un’intrusione arbitraria e ingiustificata nella loro sfera privata e del tutto priva dei requisiti di essenzialità giornalistica.
Il reclamo della famiglia
Il caso è esploso con il reclamo presentato il 24 settembre 2024 dagli avvocati dei coniugi Gambirasio. Nel documento si parla di «intrusione arbitraria» nella dimensione più intima della famiglia e dell’uso, nella serie, di «audio privi di rilevanza investigativa» inseriti solo per colpire emotivamente gli spettatori.
Particolarmente dolorosa, sempre secondo i legali, la scelta di includere «le intime e sofferte esternazioni della madre», mai destinate alla pubblicazione.
La produzione della serie si difende
Da parte sua, Quarantadue Srl – società produttrice del documentario – ha sostenuto di aver agito correttamente, affermando di aver anche tentato una collaborazione con la famiglia e di aver utilizzato unicamente materiale già contenuto negli atti giudiziari, in parte diffuso in passato anche dalla stampa. Secondo i produttori, gli audio servivano a restituire la quotidianità familiare e l’autenticità narrativa.
Il divieto di diffusione del Garante
Il Garante però ha respinto ogni giustificazione: le conversazioni, troppo intime, non erano necessarie alla ricostruzione dei fatti e la loro divulgazione è stata considerata illecita.
Oltre alla multa, l’Autorità ha vietato la diffusione delle registrazioni. La società potrà presentare ricorso contro il provvedimento.