Le divertenti stroncature dei classici Ossia la critica ai tempi di Amazon
Tutta colpa di quella leggera forma di ansia sociale – o, più probabilmente, di pigrizia – per cui, quando ho bisogno di comprare un libro, più spesso che andare in libreria, apro Amazon. Il libro in questione, qualche sera fa – una particolarmente ispirata, si vede –, era La strada di Swann, il primo volume di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Scorro la pagina in giù, cercando informazioni su quell’edizione (ma a chi la do a bere: voglio solo sapere quanto è lungo di preciso) e, appena intravedo le stelline (4.4 su 5!), non so resistere: inizio a leggere le recensioni.
Le recensioni Amazon sono uno di quegli angolini dell’Internet in cui chiunque, più che altrove, è libero di parlare di qualunque cosa. Potrebbe suonare meraviglioso, quasi commovente (mi ricordo ancora uno che mi disse serissimo: «I nostri nonni hanno combattuto per questo!»), se non se ne sospettasse qualche infelice risvolto. Nei commenti su un sito di e-commerce, per esempio, ci si potrebbe aspettare – tu pensa! – di trovare, tutt’al più, notizie su imballaggi, ritardi, consegne. E invece non succede quasi mai: tutti a giocare al piccolo critico letterario senza averne gli strumenti. Meravigliosa, la libertà di espressione. A saperla usare.
Perché, che sia per plaudire al capolavoro di fronte ad un già affermatissimo capolavoro o per stroncarlo senza averne mai scritto uno, la recensione dell’utente medio sull’Internet fatica a non suonare ridicola, specie se impreziosita da un certo tocco di mitomania. Quello per cui, col proposito di darsi un tono, il piccolo critico sceglie di riferirsi all’opera di Proust usando il francese, per esempio, e – puntualissimo contrappasso – sbaglia a scriverlo: «Ritengo la Reserche la pietra miliare della letteratura». Cinque stelline.
Lo scrittore Mauro Zucconi ha raccolto e assemblato sul Tumblr Lo stroncatore più di un centinaio di recensioni negative di grandi classici (per leggerle, qui). Intervistato per la rivista Studio, ha detto: «Alcuni si arrabbiano leggendo certe stroncature ma noi (lui e la moglie, ndr) invece le troviamo divertenti e, raccolte tutte insieme, lette una dopo l’altra, utili e istruttive, anzi siamo convinti che siano diventate persino belle, troviamo una recensione, la leggiamo ad alta voce, ridiamo e diciamo “bellissima!”. Il brutto ci piace quasi quanto il bello, e a volte troviamo persino un fondo di verità. Ciò che manca a molti stroncatori sono l’equilibrio e la disciplina». Il risultato? Lolita non è abbastanza erotico, Frankenstein non è abbastanza horror, Il Signore degli anelli è «vagamente no-global», Franzen scrive peggio di uno studente di istituto tecnico e Twain non se la cava meglio.
Ma la mia preferita è: «Io e Kafka abbiamo una concezione diversa della natura umana», perché svela meglio delle altre quel tic di dare del tu a Premi Nobel ed astronauti, vantando come massima onorificenza, in genere, cocco di mamma. Quando, qualche settimana fa, Umberto Eco ha detto che «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli», si è sollevato un esercito di indignati twittatori a dargliene conferma. Io, per non correre il rischio di infoltirne le schiere, il libro poi l’ho preso in biblioteca.