L'intervista al "Foglio"

«Quanta informazione inquinata sullo scandalo Volkswagen»

«Quanta informazione inquinata sullo scandalo Volkswagen»
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Molto rumore per nulla. Così Shakespeare titolava una tragicommedia scritta nel 1598; e potrebbe essere anche il sottotitolo del diesel-gate che impazza sulle pagine di tutte le principali testate giornalistiche in questi giorni, tra rumors, incertezze e mezze informazioni. Almeno secondo Gian Luca Pellegrini, direttore di Quattroruote, intervistato da Michele Masneri per il Foglio. Lo scandalo Volkswagen conserva il sapore agrodolce della tragicommedia, la Germania che piange non desta neanche un po’ di compassione, anzi suscita un sorriso di liberazione nei paesi di mezza Europa dopo anni di imposizioni subite. Ma le proporzioni assunte dal caso non avrebbero dovuto prendere le dimensioni attuali, soprattutto alla luce degli scandali precedenti, dove manomissioni ben più gravi sono quasi passate in sordina. Ma chi ha sollevato tutto questo clamore, e perché, se la Volkswagen non ha infranto le regole più di quanto abbia fatto Toyota o le altre case automobilistiche in precedenza?

 

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Disinformazione. «Domenica 27 settembre il Corriere della Sera in prima pagina scriveva di 40.000 auto bloccate sui piazzali Volkswagen in Italia», dice Pellegrini al Foglio. «È una cifra assurda, non ci sono tante auto in tutti i concessionari d'Italia messi insieme». Ma non è né l’unica né la più grave delle false informazioni circolate in questi giorni. «Il coinvolgimento di Bmw: è bastata una voce nei giorni scorsi che anche la casa di Monaco avesse gli stessi problemi, e il titolo ha perso l' 8 per cento in Borsa. Poi naturalmente non era vero niente. C' è una disinformazione totale, tanto che ormai la gente pensa: “oddio, se mi fermano con la mia Golf, me la sequestreranno”». La mancanza di notizie certe, la fretta nel voler comunicare dati e statistiche hanno sicuramente alimentato le voci intorno all’entità dell’imbroglio. Poi si sa, gonfiare un po’ la notizia fa sempre raccogliere una manciata di click in più. Ma non può trattarsi solo di qualche bufala giornalistica scritta un po’ troppo affrettatamente. Anche in Germania d’altronde sembra non sapessero che pesci pigliare dopo lo scoppio del caso.

Incapacità. Sicuramente i dirigenti teutonici si sono distinti per abilità e ostinata convinzione nel portare le loro aziende nell’élite mondiale. Successo dopo successo, non ci hanno messo molto ad uscire dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e a raggiungere la leadership continentale. Ma come reagiscono di fronte a un insuccesso, a una grave crisi? A quanto pare, non reagiscono proprio. Risale al 2013 il momento in cui Peter Mock, ex dipendente della Divisione Ambiente della Mercedes, al tempo capo di un Ong con sede in California di nome International Council on Clean Transportation, scopre per la prima volta la differenza tra i consumi reali e quelli dei test di laboratorio. La notizia di per sé non è particolarmente eclatante, tanto che l’eco successiva è contenuta. Anche Pellegrini sottolinea come sia risaputo che nei test le auto spengono l’aria condizionata, sono sigillate e montano ruote più sottili, tanto che Quattroruote ne tiene conto calcolando i consumi su due tabelle, una coi valori di laboratorio, l’altra coi valori reali dei test su strada.

Volkswagen, informata dall’agenzia di Mock, avrebbe tutto il tempo per rimediare ed evitare il polverone; si limita invece all’invio di una missiva generica ai clienti californiani, in cui scrive di far controllare il motore al successivo passaggio dal meccanico. La situazione non cambia, fino all’esplosione dello scandalo. Titoli a picco, accuse da mezzo mondo, dipendenti spaventati per il loro futuro. Cosa fa la Volkswagen? Ammette la colpevolezza e si scusa per aver tradito la fiducia dei clienti. Mossa di dubbia efficacia, dato che le accuse erano generiche, e nessuno ha capito bene di cosa fossero colpevoli. «Se loro stessi si son detti colpevoli, allora siamo giustificati ad attaccarli» devono aver pensato tutti quei Paesi che per anni han subito le angherie della Germania, e perché no, anche la Francia, che quando si può attaccare lo scomodo vicino si schiera sempre in prima linea. Dopo due giorni di silenzio nella bufera Winterkorn si dimette, il titolo in Borsa respira, e poi cola ancora più a picco sotto le impietose quanto cieche sferzate della stampa internazionale. Una vera e propria flagellazione, senza che sia stato tenuto alcun processo.

 

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Caos normativo. La verità è che di preciso nessuno sa ancora quanto grave sia l’imbroglio della Volkswagen, né perché l’abbia fatto. Le normative sull’ambiente americane sono molto più strette di quelle europee e la California è lo Stato più rigido in materia, poi pazienza se tutti girano su dei SUV rigorosamente a benzina che sono registrati come Camion e non devono sottostare ad alcuna normativa. Ok Volkswagen ha truffato, ma le polemiche sul danno ambientale sono evitabili. In America poi quasi nessuno usa il diesel, anche perché il risparmio è minore, e la fetta di mercato su cui Volkswagen avrebbe imbrogliato non porta risultati decisivi in termini di bilancio; in pratica il gioco non vale la candela.

In Europa la faccenda cambia, ma come abbiamo visto in questi giorni, normative e controlli non sono rigorosi come dovrebbero, le ambiguità potrebbero riguardare altre case automobilistiche. E per quanto riguarda il tanto citato danno ambientale, talvolta elevato a rango di disastro, i fatti sono meno gravi delle disgrazie paventate da un oltraggioso allarmismo. La centralina dei motori Tdi modifica il NOx, l’ossido di azoto, e non l’anidride carbonica. Come dice Pellegrini: «tecnicamente non è un inquinante, è classificato come un irritante. Volkswagen si ritroverebbe dunque a pagare la più alta sanzione nella storia dell'automobile senza aver causato neanche un incidente ma per un'arietta oltre i limiti».

Accanimento eccessivo. «Io non ho mai visto tanto astio e tanta pubblicità per un caso del genere», conclude Pellegrini. «Mi colpisce l'eco mediatica sproporzionata all'effettivo danno ambientale, cresciuta fino alla psicosi. Se non fossero stati tedeschi sarebbe stato diverso». Psicosi collettiva insomma, e quel sottile piacere che ci stuzzica il palato quando abbiamo l’occasione di punire l’ex-aguzzino. Per ora di questo si è nutrito il tanto discusso caso Volkswagen. Certezze poche, risposte ancora meno. E forse qualcuno, sia qui in Italia che all’estero, ha tutte le motivazioni per far sì che in questa vicenda si faccia chiarezza il più tardi possibile.

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