Accordi di Bretton Woods, spiegati
A Bretton Woods, località turistica nei pressi di Carroll (New Hampshire), sono appena stati firmati gli accordi che sanciscono la normativa per il sistema monetario internazionale. Se soltanto questo fosse il 1944. Dal primo al ventidue luglio di settant’anni fa, infatti, il Mount Washington Hotel ospitò 730 delegati di quarantaquattro nazioni, riunitisi per la United Nations Monetary and Financial Conference (Conferenza Monetaria e Finanziaria delle Nazioni Unite, ndr). La Seconda guerra mondiale non era ancora finita, ma gli Stati Uniti e i loro alleati già si preoccupavano di ridisegnare la cartina economica internazionale.
Il quadro mondiale, tra guerra e crisi economica. Il crollo della borsa valori di Wall Street (29 ottobre 1929), aveva innescato una fase economica depressiva che, dagli Stati Uniti, aveva raggiunto Europa e Asia. Gli scambi del commercio internazionale erano calati drasticamente, i livelli produttivi di molti Paesi erano crollati e la disoccupazione era aumentata esponenzialmente. Lo scoppio della guerra aveva poi contribuito a ritardare la soluzione della questione economica. Un ritardo che, nel 1944, era ormai diventato un’urgenza, soprattutto per gli Stati Uniti, i quali erano decisamente determinati a divenire il Paese principe del mondo postbellico.
I due progetti presentati a Bretton Woods. I due progetti presentati e discussi nei giorni assolati di Bretton Woods furono quelli dell’economista britannico John Maynard Keynes e dell’americano Harry Dexter White. Il primo proponeva l’istituzione di una banca centrale sovranazionale, con quote di partecipazione da parte dei singoli Stati, proporzionali al volume del commercio internazionale. A compensazione dei crediti e dei debiti contratti dai Paesi, si sarebbe istituita una nuova valuta, il Bancor.
Harry Dexter White, membro del Dipartimento del Tesoro statunitense, progettava invece la fondazione di un ente internazionale, all’interno di un sistema dollaro-centrico. I Paesi vi avrebbero esercitato un peso economico (e politico) proporzionale alla quota investita.
Vinse (ovviamente) la soluzione dollaro-centrica. La storia racconta che a spuntarla furono proprio Dexter e il progetto americano. I delegati uscirono dall’Hotel, dopo avere apposto la propria firma al progetto che avrebbe portato alla nascita, nel 1946, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Si stabilì che tutte le valute sarebbero state convertibili in dollari. Il gold exchange standard ancorò il tasso di cambio al dollaro, con un’oscillazione consentita dell’1%. La stabilità della moneta statunitense, a sua volta, sarebbe stata garantita dalle riserve auree del Tesoro americano. Il dollaro, ovviamente, sarebbe anche stato la valuta forte con cui si sarebbe espresso il commercio internazionale, che avrebbe dovuto mantenersi il più possibile svincolato dall’intervento dei governi, conformemente al liberalismo keynesiano. Nel 1947, la firma dei Gatt (General Agreement Trade and Tariffs) ratificò le norme vigenti in merito di scambi internazionali.
Quando finì l’era Bretton-Woods. L’ordine introdotto dagli accordi di Bretton Woods, rinforzato da piani Marshall e sopravvissuto a veri o presunti tentativi sovietici di sabotaggio, durò fino alla guerra del Vietnam, che costrinse gli Stati Uniti a una massiccia spesa pubblica e, quindi, a un ripensamento degli equilibri economici interni. Il 15 agosto 1971, a Camp David, il presidente Richard Nixon dovette decretare la fine della convertibilità del dollaro in oro e, poco più tardi, lo Smithsonian Agreement concluse, definitivamente, l’era di Bretton Woods. La flessibilità dei cambi monetari avrebbe aperto le porte ai giochi finanziari più spregiudicati, all’era dell’ oro nero, il petrolio, e delle guerre combattute per averne accesso. Ci avrebbe insomma portati al mondo, come lo conosciamo.