Dopo mesi di instabilità

Turchia, le urne dopo tanto sangue Il voto più delicato della sua storia

Turchia, le urne dopo tanto sangue Il voto più delicato della sua storia

Domenica 1 novembre i turchi sono chiamati alle urne per le elezioni politiche. Si tratta di un voto anticipato, il premier incaricato Ahmet Davutoglu, fedele al presidente Recep Tayyp Erdogan e uscito vincitore alla tornata elettorale di giugno, non è riuscito infatti a formare un governo. Inutile soffermarsi a dire che il Paese oggi vive una situazione di instabilità ed è stato flagellato da ferocissimi attentati che hanno causato la morte di centinaia di civili, proprio nei mesi che preparavano la chiamata alle urne. A ciò si aggiunge anche la crisi scaturita dal massiccio passaggio del flusso dei profughi che scappano dalla Siria, che attraversa queste terre per approdare in Europa. Una crisi che Erdogan ha cercato di cavalcare per ottenere fondi da Strasburgo e far entrare il Paese in Unione Europea, sogno rincorso ormai da anni.

Il sistema elettorale. La Turchia va alle urne con un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento al 10%, con i parlamentari eletti in 85 collegi. Il Parlamento ha 550 seggi e la maggioranza necessaria ad approvare le modifiche costituzionali è di 367 voti. Le modifiche costituzionali possono essere approvate anche tramite referendum popolare, che va indetto dopo 330 voti favorevoli dei parlamentari. La questione delle riforme costituzionali è importante perché Erdogan vorrebbe riformare la Costituzione su base presidenziale, in modo da vedergli conferiti ancora più poteri. Ma lo scenario attuale, con il partito curdo che è una presenza ormai affermata nell’elettorato, rende per Erdogan tutto più complesso. I sondaggi, infatti, dicono che l’esito del voto di domenica non si discosterà molto da quello di giugno scorso. Il Sud Est del Paese, infatti, è a maggioranza curda e risulta difficile pensare che queste popolazioni voteranno a favore di partiti e movimenti che osteggiano la loro causa. Saranno proprio i curdi, con il loro voto, a fungere da ago della bilancia.

Quali sono i partiti. Sostanzialmente i partiti che si presentano alle elezioni sono quattro. Il primo è l’Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, che è stato fondato da Erdogan insieme ai conservatori islamici di varia provenienza ed è al potere dal 2002. Fino alle elezioni di giugno ha sempre ottenuto la maggioranza assoluta. È un partito conservatore che negli anni si è distinto per aver messo a tacere le voci dissidenti, una su tutte il movimento Gezi Park, che voleva un Paese più laico e democratico. A sfidare il gruppo c’è il Chp, di centro sinistra, il partito fondato nel 1923 dal padre della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, colui il quale è stata introdotta la laicità nel Paese. L’altro candidato, il Mhp detto anche Lupi Grigi, è arroccato su posizioni nazionaliste ed è ostile alle minoranze, soprattutto quella curda e armena. Dopo il voto di giugno l’Akp ha cercato un’alleanza con l’estrema destra dell’Mhp per ottenere una maggioranza assoluta in grado di formare un governo, ma invano. Da ultimo ci sono poi i filocurdi dell’Hdp, la vera rivelazione delle scorse elezioni, che son riusciti a sbloccare la soglia di sbarramento e ottenere seggi in parlamento. Sono libertari, di sinistra, e tutelano le minoranze, dagli omosessuali ai cristiani, e si battono per i diritti delle donne. sono stati paragonati ai greci di Syriza e agli spagnoli di Podemos.

Fethullah Gulen, da amico a terrorista. In questo panorama di una Turchia in preda a una situazione confusa, gli ultimi colpi di scena sono stati inquietanti. Il primo è stata l’irruzione della polizia nelle sedi di alcune tv accusate di ordire un golpe nei confronti di Erdogan. Il secondo, l’inserimento nella lista dei terroristi di Fethullah Gulen, il ricco uomo d’affari che in passato ha favorito l’ascesa al potere di Erdogan e che oggi è suo nemico giurato. Gulen è anche un imam ed  il proprietario di una rete di ong e di media considerati ostili da parte del premier. Da ieri Gulen, che vive negli Stati Uniti, è ricercato dalle autorità turche e su di lui pende l’accusa di aver creato uno “stato parallelo” con suoi infiltrati negli organi principali dello Stato allo scopo di rovesciarne il potere. Nella lista dei ricercati figura anche il leader del Pkk, il partito curdo dei lavoratori, e il governo turco ha promesso1,2 milioni di euro a chi dà informazioni utili alla loro cattura.