I colloqui di pace a Vienna

Siria, il nodo del futuro di Assad (e gli Usa inviano forze speciali)

Siria, il nodo del futuro di Assad (e gli Usa inviano forze speciali)

La prima tranche dei colloqui tra Stati Uniti, Russia, Iran, Arabia Saudita ed Egitto sulla situazione in Siria è andata in scena a Vienna venerdì 30 ottobre. Otto ore di incontri serrati che non hanno prodotto un’intesa comune, ma che hanno aperto la strada verso una transizione che possa portare Damasco a una soluzione dopo quasi cinque anni di guerra civile e almeno 250mila persone uccise, 2 milioni di feriti e 12 milioni di sfollati.

Cosa si è deciso. «L’Onu convochi il governo siriano e l’opposizione per avviare un processo politico, che porti a una governance credibile e non settaria, seguito da una nuova costituzione e da elezioni», si legge nel comunicato finale della prima sessione, cui oltre ai Paesi sopra citati, hanno partecipato i capi delle diplomazie di altri Paesi occidentali e della regione, come Egitto, Giordania e Iraq. Nove i punti che dovrebbero portare la Siria verso la pace, e che poggiano sul principio di unità del Paese e delle sue istituzioni, sul fatto che il popolo deve essere protagonista del proprio futuro, sulla lotta al terrorismo e sulla protezione dei diritti umani. In tutto il documento non viene mai citato espressamente il nome del presidente siriano Bashar al Assad.

Presenti e grandi assenti. Quelli di Vienna sono stati i primi colloqui internazionali sulla Siria aperti ai rappresentanti di Iran, Arabia Saudita e altri paesi arabi fra cui Egitto, Giordania e Iraq. In tutto 17 partecipanti, tra cui anche l’Onu, il ministro degli Esteri italiano Paolo Genitloni e Federica Mogherini. Grandi assenti, però, il governo di Damasco e i rappresentanti delle varie fazioni dei ribelli che in Siria hanno dato il via alle ostilità. Per la prima volta, però, gli americani hanno aperto alla partecipazione dell’Iran ai colloqui, Paese che è il principale alleato del presidente siriano Assad nell’area, riabilitando di fatto Teheran sul piano diplomatico. Perché questi punti vengano sviluppati, però, è necessario che i colloqui procedano e che venga elaborato un piano per il cessate il fuoco.

L’alleanza siriana con l’Iran. Un’altra novità è accaduta a Vienna, sempre con protagonista Teheran: il primo incontro tra Iran e Arabia Saudita, i due principali nemici che in Siria, così come in Yemen, stanno combattendo una guerra su base settaria che vede contrapposto l’islam sciita a quello sunnita. Vale la pena ricordare che a Damasco è sepolta Zaynab, figlia di Fatima (figlia di Maometto) e di Ali ibn Abi Talib, quarto califfo dell’Islam e primo imam sciita. La sua tomba da sempre rappresenta una meta di pellegrinaggio per gli sciiti iraniani e iracheni. Già nel 2011 i Pasdaran iraniani erano giunti a Damasco per custodire il mausoleo da eventuali attacchi di jihadisti. Dimostrazione che i rapporti di amicizia, fiducia e sostegno tra Teheran e Damasco hanno radici profonde, che risalgono molto indietro negli anni e poggiano su elementi confessionali. Il luogo tra gli Anni Ottanta e Novanta è diventato il simbolo dell’alleanza dell’alawita laico Hafez al Assad, padre di Bashar, con gli sciiti libanesi e iraniani.

Il ruolo di Assad, nodo centrale dei colloqui. In attesa della prossima riunione, che si terrà tra quindici giorni, le divergenze di posizione dei vari Paesi in merito alla Siria sono ancora molte. In primis va discusso e deciso il ruolo di Assad, che è appoggiato da Iran e dalla Russia, ma che è inviso al resto del mondo. È stato proprio questo lo scoglio più duro, che ancora non è stato superato, per poter gettare le basi verso una reale soluzione politica alla crisi. Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti sono fermamente contrari alla permanenza del presidente, e chiedono che la sua cacciata diventi la conditio sine qua non per poter indire libere elezioni. Dall’altra parte, Russia e Iran rimangono ferme sulle loro posizioni di appoggio al Presidente, considerando un suo allontanamento solo dopo le elezioni.

Assad presidente pro-tempore? Tempi e modi di un’eventuale uscita di scena di Assad non sono stati ancora decisi, ma si pensa che ci possano essere i margini di trattativa per arrivare a un addio al potere. Fonti dell’agenzia russa Tass, riprese da molti media internazionali, sostengono che i partecipanti ai colloqui di Vienna stiano mettendo a punto un piano che porti a un cessate il fuoco entro quattro o sei mesi, cui seguirà la formazione di un governo di transizione composto sia dal presidente Bashar al Assad che da membri dell’opposizione. In questo modo verrebbero garantiti anche gli interessi geostrategici che stanno dietro all’interesse verso la Siria da parte delle potenze mondiali, tra cui la Russia, cui è stato affidato il business della ricostruzione postbellica.

Truppe Usa in Siria. Intanto gli Stati Uniti hanno deciso di inviare «meno di cinquanta» militari in Siria, precisamente nel nord, una delle aree maggiormente flagellate dal conflitto. Si dice per «addestrare, consigliare e assistere» quanti si oppongono all’avanzata dell’Isis. Tra questi ci sono anche i ribelli che da quattro anni e mezzo combattono Assad. Si tratta dei primi soldati americani che farebbero ingresso sul campo di battaglia della Siria da quando è scoppiata la guerra. Una guerra che non accenna a diminuire, e che continua a mietere vittime. Aleppo vive ormai in uno stato di assedio perenne, e nel resto del Paese non si contano più gli atti di violenza, le esplosioni, i bombardamenti.