In un'hamburgeria veg

I miei primi giorni da vegetariano Problemino: la carne è più buona

I miei primi giorni da vegetariano Problemino: la carne è più buona
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I vegetariani sono più buoni dei carnivori, ma la carne è più buona delle verdure: è questa la cruda realtà che ho potuto appurare dopo circa tre settimane di vegetarianismo. Sì, ho battuto sul tempo i “terroristi” dell’OMS e deciso di abbracciare uno stile di vita sano e improntato al rispetto delle forme di vita animali in tempi recenti, ma non ancora sospetti.

Circa cinque giorni fa convincevo, con l’inganno, uno sventurato ad accompagnarmi per pranzo in una hamburgheria vegana. Ebbene sì, a Milano, i milanesi vogliono l’hamburger, ma senza la carne, e dunque vengono aperti luoghi come questo, dove vivere il sogno americano in salsa di soia. Il locale, situato nelle vicinanze di un grande parco, appare ai visitatori come un’oasi di pace e tranquillità; l’arredamento è molto chic, i muri sono ricoperti da scritte motivazionali (dopo vi dirò) e la gente sorride. Il locale, piccolo ma ben curato, era stipato all’inverosimile, i posti a sedere erano tutti pieni e la fila per le ordinazioni cominciava dalla porta di ingresso. Nonostante ciò, nell’area si udivano solo sequele infinite di «Prego», «Vada prima lei», «Ma si figuri». Credetemi, essere circondato da persone felici, educate e disponibili mi ha fatto immediatamente sentire più buono. Così, ordinatamente, a differenza di quello che facevo da McDonald’s quando ero ancora un carnivoro, mi sono messo in fila e, ricambiando sorrisi e gentilezze, ho aspettato il mio turno.

 

 

Alla cassa ho ordinato il mio “hamburger” cheesy cecio, le mie patine fritte (ovviamente non fritte) e la mia aranciata. Il bancomat, anch’esso eco-friendly, non dava lo scontrino, ma inviava un messaggio al tuo cellulare con la ricevuta. C’era un po’ da attendere, non c’erano posti a sedere, ma in fondo non mi pesava. Complice la bella giornata, mi sono portato all’esterno del locale, finché il mio complice, evidentemente non ancora vegetariano convinto, ha avuto l’ardire di occupare un tavolo mentre era ancora mezzo occupato: nessuno gli ha detto nulla, si vedeva che era ancora in fase di conversione. E così, tra un «complimenti è tutto buonissimo» e un «posso dividere il tavolo con Lei?», sono arrivati i due “hamburger”. Le patatine fritte no, per quelle c’era da aspettare venti minuti o, in alternativa, ci avrebbero fatto un buono per un’altra volta. La cosa strana è che: se mentre in un altro locale frequentato da carnivori tutti si sarebbero lamentati come bambini, qui tutti erano comprensivi e quasi si sentivano mortificati per avere ordinato qualcosa che metteva in difficoltà l’hamburgeria.

Stavo per addentare quel succoso hamburger di soia, con maionese senza uovo, salsa tartara vegana e pane arricchito da carbone (per facilitare la digestione), quando lo sguardo mi è caduto su questa scritta (ovviamente in inglese perché il vegetariano è notoriamente poliglotta): junk food go away – because fruit and veg are here to stay. Ora, se avete bisogno di un dizionario forse il vostro stile di vita da carnivori deve essere rivisto, ad ogni modo, potremmo tradurla con «Cibo spazzatura vattene via – perché qui c’è posto solo per frutta e verdura». Non vi nego che ero emozionato, sentivo che stavo facendo qualcosa di giusto e buono e allora l’ho fatto: l’ho mangiato.

 

 

Piccolo problema: non era buono.

Ma non mi importava, alla mia destra la signora tedesca, che ovviamente parlava italiano, mi annuiva per manifestarmi il suo apprezzamento. Come a dire: è buono, è buono, mangia che ti fa bene. Purtroppo non lo era. Dopo mezz’oretta sono arrivate le patatine. Dal bancone una catena umana le distribuiva a chi le richiedeva, tutti si aiutavano, tutti erano felici.

Piccolo secondo problema: erano lesse e non fritte.

Ma non mi importava, la mia aranciata fatta con arance del Gargano (presidio Slow-Food) e zucchero di canna mi faceva scordare tutto. Io, che evidentemente non ho ancora il palato educato, assecondavo gli altri commensali e ripetevo come un mantra: «Particolare, ma buono… e poi fa bene».

Insomma, sono uscito dal locale felice, facevo parte di qualcosa di bello, avevo aiutato ad evitare la deforestazione per creare pascoli per i bovini, ma qualcosa mi mancava. Avevo un vuoto. Non ero completo.

Ah, sì: mancava la carne nell’hamburger.

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