Guida sentimentale di via Pignolo Tutto il fascino di un borgo cittadino
[In copertina, foto di Linda Klobas. Un portone di via Pignolo.]
Borgo Pignolo è quella parte di Bergamo che si snoda fra Città Alta e bassa, delimitata per un vertice dalla chiesa di San Michele al Pozzo Bianco e racchiusa più in basso tra la chiesa di Santo Spirito e l’Accademia Carrara. Un triangolo bergamasco che conserva tutto il fascino della storia della città, senza esserne mai realmente al centro. Un’area che ha saputo vestirsi di quel carattere un po’ artistico e intellettuale, ma anche discreto e familiare, fatto di strade nascoste da palazzi d’epoca, salite e discese e luoghi ricchi di una loro specificità. Identificata come la via dell’arte, ma anche di alcuni luoghi tipici di Bergamo, mai troppo sotto i riflettori e mai realmente dimenticata.
Un’idea nata per amore. Pare addirittura che di Borgo Pignolo ci si possa innamorare e che questo sia successo a Manuela Manzini, una bergamasca “parigina”, eccellenza cittadina in forza al Centre Pompidou, che ogni volta che torna in patria sceglie di alloggiare proprio fra le vie del borgo per assaporare una deliziosa aria di casa. Da qui nasce l’idea di un progetto per celebrare il fascino di questa parte della città, trasformandola, di fatto, in un piccolo museo a cielo aperto. Manuela ha coordinato il progetto attraverso l’associazione La Fabrique de la Culture, aiutata dall’attento Luciano Passoni della Libreria Ars. E in primavera ha preso forma.
Uno scatto carico di messaggi. In realtà usare la parola “museo” rischia di dare una connotazione un po’ datata al progetto quando, al contrario, l’operazione si è concretizzata per lo più a livello digitale, costruendo una storicità friendly e a portata di smartphone. A partire da aprile, infatti, su alcuni dei luoghi di via San Tomaso, via Pignolo e via Tasso, sono comparsi dei QRcode, che una volta fotografati permettevano di accedere a un breve e originale commento dedicato all’edificio o al negozio in oggetto.
A essere segnalati nella guida non sono stati soltanto i palazzi storici ma anche negozi, sculture, locali, coinvolti e presentati per il loro valore affettivo da altrettanto storici, intellettuali, scrittori, curatori che a vario titolo hanno raccontato ciò che di speciale li lega a quelle vie, percorse più o meno ogni giorno con la stessa ammirazione e lo stesso sguardo sognante.
Le testimonianze. Fra i testi, raccolti in un libro intitolato Inclusione – Un progetto per il Delfino, presentato lo scorso 20 novembre e ancora disponibile qui, si trovano spiegazioni e ricordi ma anche divagazioni sul tema e licenze poetiche. Si passa dal ricordo delle violenze compiute fra le mura dell’ex Collegio Baroni fra il 1943 e il 1945, al racconto di come un quadro di Lorenzo Lotto si trovi tutt’ora coperto da una pezza dopo che un fantomatico soldato francese decise di tagliare il magnifico paesaggio dipinto e portarselo con sé. Nel mezzo divertenti divagazioni sul senso del tramezzino o sull’origine del termine catering di Marco Belpoliti e il ricordo che Elisa Pievani riserva al numero 73 di via Pignolo, dove nel ‘61 Mario M. Montessori figlio di Maria, costruì il CISM (Centro Internazionale Studi Montessoriani) di Bergamo, in cui ancora oggi vengono formati gli insegnanti montessoriani di mezza Europa.
Tra negozi, gallerie, ricordi e giochi di parole si inserisce anche lo scrittore Jovica Momcilovic che si mette a dialogare con il Tassino (Torquato Tasso) ricordando quando grande fu lui per Bergamo e quanto piccole furono le crociate per la cristianità: «Cosi ci siamo incontrati noi due a distanza di 500 anni. Scriveva lui. Adesso io scrivo di lui. Ma prima noi due abbiamo un piccolo conticino da sistemare. La sua famosa opera: Gerusalemme liberata dove scrive della prima crociata e battaglia contro i musulmani, per liberarla. Allora, per liberare la Terra Santa per lui, di Gerusalemme ha dimenticato di scrivere almeno due righe. Lo farò io come Serbo. Terra Santa per me di Belgrado, i crociati trovandola sulla strada per Gerusalemme, la bruciarono anche se non era musulmana. Distrussero Belgrado forse per allenarsi. L’hanno fatto durante la prima crociata. Poi in tutte le altre. Dopo le crociate, anche senza il segno della croce, contro Belgrado l’hanno fatto in tanti, fino ai giorni nostri. Forse deve essere così. Noi abbiamo perdonato, ma non dimenticato. Ma almeno, scriverle due righe».