La mostra alla Carrara

Il Sarto del Moroni, che sarto non è (Tal Marinoni, uomo senza fronzoli)

Il Sarto del Moroni, che sarto non è (Tal Marinoni, uomo senza fronzoli)
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Lo chiamano Il Sarto, anche se sarto non è. Tutta colpa di Marco Boschini che nella sua Carta del navegar pitoresco, poemetto sulle bellezze pittoriche a Venezia e nel suo “stato” nel 1660 parlò così del capolavoro di Moroni: «Tuttavia quel Moron, quel Bergamasco / per esser gran pittor bravo e valente, / El vogio nominar seguramente / che de bona nomea l’ha pieno el tasco; / Ghè dei ritrat, ma in particolar / quel d’un sarto sì belo, e sì ben fato che ‘l parla più de qual si sa Avocato, / l’ha in man la forfe, e vu ‘l vede’ a tagiar / O in pitura Pitor, che carne impasta o Bergamasco pien d’alto giudizio più di così ti non puol far l’offitio: / Ti è Batista Moron, tanto me basta».

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Un “sarto sì belo, e sì ben fato”: in realtà si tratta di un mercante di “pannina” (un panno di lana in pezza). E la forbice gli serve per tagliarlo sulla misura voluta dal compratore che ci fa credere di aver di fronte (in realtà sta evidentemente posando nello studio di Moroni). Quello che Boschini dice correttamente è che si tratta di un capolavoro, sul quale giustamente posò gli occhi sir Charles Lock Eastlake che 150 anni fa era stato inviato in Italia per mettere insieme il tesoro di un nuovo museo londinese, la Royal Academy. Tra i grandi maestri che secondo lui erano necessari per una collezione degna di rispetto, Moroni non poteva mancare. Per cui comperò una serie di opere dell’artista bergamasco, che oggi costituiscono uno dei gioielli della National Gallery, dove poi le acquisizioni di Eastlake vennero trasferite.

 

 

Non si ha certezza sull’identità del nostro sarto-mercante: è stato ipotizzato che si trattasse di un membro della famiglia Marinoni di Desenzano d'Albino, già titolare di una bottega di pittori, poi trasferitosi a Venezia per esercitare la mercatura della lana. Ricordiamo che Albino è il paese natale di Moroni e quindi l’ipotesi ha una sua validità. Siamo intorno al 1565 e non ci fosse lo stile dell’artista a suggerire la data e a chiarire in quale periodo della sua carriera lo dipinse, ci sarebbe la moda.

Infatti il personaggio veste secondo uno stile introdotto dagli spagnoli che avevano conquistato Milano e suggerito dalla visione della Controriforma. Ecco che si spiega il giuppone accollato con collo e polsi a “lattuga” (per via dell’arricciatura) che evidenziano una severità insolita a tutto il periodo precedente. Per quanto raffinato, non era un vestito da uscite pubbliche: il nostro sarto è colto in un momento di lavoro e si mostra con l’abito abituale da giornata di lavoro. Sotto il giuppone mostra poi delle braghesse, di un color vistoso rosso vinaccia.

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Ma il nostro “sarto” non è in posa per mostrarci l’eleganza del suo vestito. E in questo approccio sta la straordinarietà del ritratto. Moroni infatti è il primo artista che sa rappresentare una classe sociale nuova. Che non è quell’aristocrazia che sola aveva il diritto (e le risorse) per farsi immortalare, ma è una nuova borghesia molto sobria, con un senso concreto delle cose e della vita. È una classe sociale che aveva bisogno di un interprete che sapesse coglierne il sottofondo psicologico: e Moroni è proprio l’interprete che ci voleva. La sua è una pittura senza enfasi, senza retorica. Che entra in sintonia con il “sentiment” di personaggi che ritenevano più importante farsi ritrarre in abiti feriali e con le forbicione in mano, piuttosto che in pose solenni e con eleganza “festiva”.

Anche l’ambiente non dà nessuno sfoggio delle eventuali ricchezze accumulate con un lavoro certamente profittevole: il muro è grigio, come di un luogo assolutamente essenziale. Lo sguardo stesso del sarto-mercante è uno sguardo assorbito da pensieri concreti: concentrato sui metri di pannina da piazzare, i conti sugli affari di giornata. E cosa inventarsi domani per vincere la concorrenza e conquistare nuovi clienti... Il sarto–mercante come Moroni era un uomo senza fronzoli.

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