I 400 anni della morte

Shakespeare è uno pseudonimo?

Shakespeare è uno pseudonimo?
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In questo 2016, il 23 aprile per la precisione, ricorreranno i 400 anni dalla morte di William Shakespeare, probabilmente il più grande drammaturgo di tutti i tempi. In Inghilterra e non solo si stanno organizzando conferenze ed eventi di vario tipo per tributare nel migliore dei modi un genio immortale di questo calibro. Eppure, a guastare i festeggiamenti potrebbero esserci diversi accademici e studiosi che sostengono una tesi quantomeno curiosa: William Shakespeare, in realtà, non sarebbe mai esistito. Un'affermazione decisamente forte e ai limiti della camicia di forza, di primo acchito. In realtà, fior di ricerche e studi hanno messo in luce diversi elementi che farebbero pensare che davvero Shakespeare non sia altro che lo pseudonimo utilizzato da qualche altro geniale letterato.

 

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Le varie incongruenze della vita di Shakespeare. Nessuno, per il momento, ha mai sostenuto con piena certezza la tesi per la quale il grande William non sarebbe mai esistito; ciò premesso, il mondo accademico e letterario è da parecchi decenni che si interroga sulla reale identità che stia dietro alla mano che ha scritto di Amleto, Macbeth, e delle vicissitudini di Romeo e Giulietta. A sollevare i dubbi sarebbero alcuni aspetti della persona di Shakespeare che non convincerebbero affatto. A cominciare dalla sua vastissima cultura: com'è possibile che un uomo che non è mai uscito dall'Inghilterra conoscesse così bene tante lingue? O che, per lo stesso motivo, parlasse dell'Italia come solo poteva fare chi il Belpaese l'aveva visitato? Shakespeare, inoltre, aveva una conoscenza perfetta della storia, della filosofia, delle religioni, e di diverse altre materie: come spiegarsi un fatto del genere, considerando che William era figlio di contadini e che non ricevette alcuna formazione universitaria? Tutti elementi che portano a considerare che quanto si ritiene sia stato scritto e prodotto da Shakespeare sia in realtà opera di qualcuno ben più colto e istruito.

Forse John Florio? Una corrente della folta schiera di coloro che ritengono che Shakespeare non sia mai esistito sostiene che dietro quest'immaginario uomo di Stratford-upon-Avon ci sia in realtà John Florio. Un nome che probabilmente dice poco ai più, eppure si tratta di uno dei principali intellettuali dell'epoca elisabettiana: poligrafo, poliglotta, traduttore, lessicografo, era uno dei cortigiani maggiormente apprezzati dalla sovrana d'Inghilterra, per la sua cultura varia e approfondita. Nato in Inghilterra, ma di origine italiana (Florio, appunto), sarebbe il punto di congiunzione perfetto per il mondo evocato (e spesso raccontato) delle opere di Shakespeare. “Nei suoi scritti”, ha avuto modo di scrivere il filosofo Lamberto Tassinari su Le Monde, “si trova una quantità di elementi impressionante per la quantità e la qualità che condivide con le opere teatrali firmate da Shakespeare. L'analisi comparata di tutte queste materie permette di concludere, in modo filologico, che si tratta, in realtà, di un unico autore. Florio usava il suo nome per le opere d’erudizione, e uno pseudonimo per le opere di finzione”.

A suggerire questa tesi fu già negli anni Venti Santi Paladino, giornalista italiano convinto che i Florio fossero originari della Sicilia, e una volta emigrati in Inghilterra assunsero il nome “Shakespeare”, che sarebbe la traduzione del cognome della madre di John, “Crollalanza”. Venendo all'aspetto strettamente letterario, Florio era un grande amico di Giordano Bruno, che si ritiene altri non sia se non il bizzarro personaggio delle Pene d'amor perdute Berowne, che significa proprio “bruno”. D’altro canto, le notizie su Shakespeare sono scarne, indimostrate e carenti. I pochi contatti che ebbe in vita e su cui c’è un accordo generale tra gli studiosi, guarda un po’, sono tutti accertati amici di Florio.

 

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Oppure Edward de Vere? Un'altra ipotesi particolarmente suggestiva è quella che vuole l'allora Lord Ciambellano della Corte d'Inghilterra Edward de Vere dietro agli scritti shakespeariani, come affermato da Robert Detobel, ricercatore presso l'Università di Francoforte. L'indicazione concreta si troverebbe nello Stationer's Register, un catalogo di opere letterarie pubblicato in Inghilterra per oltre un secolo e mezzo, dal 1554 al 1708. Stampatori, editori e librai britannici in tale arco di tempo descrissero nel registro, prima che fossero pubblicati, i manoscritti delle opere affidate loro dagli autori, così da garantire il rispetto dei relativi diritti. Dall'esame del registro effettuato dallo studioso tedesco è risultata la registrazione del dramma Il mercante di Venezia, risalente al 22 luglio 1598. Insieme alla registrazione figura anche l'annotazione secondo cui il manoscritto poteva essere stampato soltanto con il consenso del Lord Ciambellano. Detobel ha però scoperto anche come solo all'autore spettasse la prerogativa di dare tale assenso e di fissare la data di pubblicazione di un'opera letteraria propria. Uno dei due Lord Ciambellani in carica nel 1598 era proprio Edward de Vere. Che dire, dunque? Siamo di fronte a deliri accademici oppure a un vero e proprio novello Omero, il cantore greco ritenuto padre di Iliade e Odissea ma dagli studiosi considerato come un semplice personaggio fittizio a cui sono state attribuite opere altrui?

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