11.300 vittime in due anni

I dubbi sulla fine del virus Ebola

I dubbi sulla fine del virus Ebola
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Nel 2014 non si parlava d’altro: l’epidemia del virus Ebola in diversi Paesi africani aveva conquistato le prime pagine dei giornali di mezzo mondo, tanto che a dicembre dello stesso anno il magazine Time aveva eletto “persone dell’anno” i cosiddetti Ebola Fighters: uomini, donne, medici, infermieri, volontari, bianchi, neri, occidentali, africani, tutti coloro che, in qualche modo e nelle proprie possibilità, hanno contribuito alla lotta alla peggior epidemia che la storia recente dell’umanità ricordi. Nel 2015, però, le notizie si sono improvvisamente spente: come spesso capita nel mondo dei media, dopo l’iniziale clamore (nel caso di specie durato diversi mesi), la notizia è praticamente scomparsa da quotidiani e telegiornali, almeno fino al 13 gennaio 2016, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha diramato un comunicato stampa ufficiale in cui ha annunciato, con grande gaudio, che anche in Liberia (ultimo Paese a presentare dei casi di infetti) era stata debellata l’epidemia. Il mondo, insomma, aveva battuta il virus Ebola.

 

Switzerland WHO Ebola's End

[Rick Brennan dell'OMS mentre annuncia la «fine di Ebola»]

 

Peccato che, neppure 24 ore dopo l’annuncio, la BBC ha reso noto che funzionari medici del Sierra Leone hanno confermato una nuova morte causata dal virus Ebola: si tratta di uno studente deceduto a inizio settimana e su cui sono stati compiuti dei test in questi giorni che hanno confermato la positività al virus. La validità delle notizie è stata confermata alla BBC anche da due medici britannici che lavorano nel centro in cui si sono svolte le analisi. In Sierra Leone l’ultimo caso documentato di Ebola risaliva all’ottobre 2015 e l’epidemia era stata dichiarata debellata a novembre. Una pessima notizia, anche e soprattutto per l’OMS, che per l’ennesima volta si è dimostrata impreparata sulla vicenda. Nei primi mesi dello scoppio dell’epidemia, infatti, l’Organizzazione fu al centro di enormi polemiche, accusata di essersi mossa male e tardi. L’impressione, ulteriormente avvalorata dal comunicato del 13 gennaio prontamente, ahinoi, smentito dalle ultime notizie, è che l’OMS abbia gestito nel peggior modo possibile l’intera vicenda.

 

Ebola Blood TreatmentSierra Leone  Ebola

 

Nel documento firmato dall’Organizzazione si legge che il 14 gennaio è stato il primo giorno, da due anni a questa parte (dallo scoppio dell’epidemia), in cui tutti i tre Paesi coinvolti dal virus – Guinea, Liberia e Sierra Leone – non hanno segnalato nessun caso per 42 giorni consecutivi. Questo è il tempo ritenuto necessario per dichiarare un Paese libero da Ebola con la fine della trasmissione attiva del virus, e corrisponde a due volte il periodo massimo di incubazione del virus (di 21 giorni). Il problema, forse, è che il comunicato è stato diffuso come se annunciasse la fine dell’epidemia, quando in realtà, come spiega Wired, «la fine della trasmissione attiva del virus non significava che il virus fosse scomparso». Proprio la Liberia, ultimo Paese dichiarato “Ebola free”, era infatti già stato dichiarato libero dal virus due volte negli ultimi 12 mesi: la prima volta a maggio, poi di nuovo a settembre, sebbene con minor clamore. In entrambi i casi, però, il virus era successivamente riemerso. Purtroppo, infatti, Ebola è un virus estremamente “forte”: sebbene battuto, esso continua a nascondersi all’interno dei pazienti sopravvissuti e alcune analisi hanno confermato che può rimanere nel liquido seminale dei maschi guariti anche per un anno, con la possibilità che venga trasmesso per via sessuale.

 

APTOPIX Sierra Leone Ebola

 

Abbassare la guardia ora può essere un errore gravissimo, come spiega la stessa OMS: «È importante mantenere elevatala la sorveglianza, perché si potrebbero avere nuovi flare-up del virus». Cosa già avvenuta meno di 24 ore dopo l’annuncio. Una cosa, però, si può dire con certezza: il peggio è passato. La cosa importante, adesso, è non sottovalutare la situazione e non abbandonare i Paesi che presentino nuovi casi, perché basterebbe una scintilla (che si spera non sia il caso riscontrato in Sierra Leone il 15 gennaio) per far nuovamente esplodere l’epidemia. Un’epidemia che ha lasciato alle sue spalle, dopo due anni, tante macerie, uccidendo oltre 11.300 persone e infettandone più di 28mila. Una situazione talmente grave che spinse addirittura l’ONU a nominare un comitato di cinque esperti, parallelo all’OMS, per stabilire come si potessero migliorare, anche in futuro, le contromisure verso questo tipo di epidemie. Di fatto un gesto di sfiducia, come venne letto da molti, verso l’Organizzazione Mondiale della Sanità e che diede vita a grandi polemiche, ma che, allo stesso tempo, portò a ben pochi risultati pratici.

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