San Vincenzo, patrono di Bergamo (Sant'Alessandro gli rubò il posto)
In copertina, San Vincenzo tra San Michele Arcangelo e San Lorenzo di Roma. Pannello del XV secolo, chiesa di San Vincenzo Martire a Labuerda (Huesca).
A chi ha rubato la scena il nostro beniamino, Sant’Alessandro martire? A chi ha tolto il titolo di patrono dal lontano 1689? A chi era dedicata precedentemente la nostra Cattedrale? A un santo che se ne sta un pochino in sordina: Vincenzo. E chi se lo ricorda più quel Vincenzo di Saragozza, nato forse a Huesca alle propaggini dei Pirenei o a Valencia in Costa Blanca, educato dal Vescovo Valerio, che poi lo nomina arcidiacono e suo portavoce! Eppure il suo sacrificio è stato altrettanto mirevole: fustigato, blandito, torturato prima con il cavalletto (uno strumento che lussava tutte le ossa), poi con la graticola e con lamine infuocate e infine rinchiuso in un’oscura prigione, disteso e legato su un letto di cocci di vasi rotti. Anche se poi pare he le catene si spezzarono, i cocci si trasformarono in fiori e la prigione divenne splendente di luce celestiale, con gli angeli che scendevano dal cielo per consolare il martire e prepararlo per il Paradiso, a cui ascese nel 304 d.C.
[San Vincenzo, Menologio di Basilio II, X secolo]
Storia del santo e diffusione del culto. Con l’editto di Costantino del 313, che concedeva libertà di culto ai Cristiani, a Valencia venne costruita la cattedrale in suo onore, ma, in seguito all’invasione dei Mori nel 712, il suo corpo fu portato al sicuro in Portogallo, in una chiesetta costruita sul promontorio ancora oggi detto Capo S. Vincenzo, e in seguito a Lisbona. Protettore degli orfani, delle vedove e dei poveri, è invocato per la protezione dei tetti, dei viticultori e dei commercianti di vino. È il patrono di Lisbona e di Adrano (Catania) e dal 1300 è protettore delle città di Vicenza che, secondo una vecchia leggenda, ne porterebbe il nome. Il suo culto dalla Spagna si è esteso in tutti i Paesi, anche per opera di S. Agostino, e la sua iconografia lo vede in abito da diacono, con la stola portata di traverso, la palma del martirio e alcune volte una macina, oltre a un libro, a indicare il suo compito di predicatore.
[Il martirio di San Vincenzo, manoscritti francesi]
Un itinerario vincenziano a Bergamo. Ma con Bergamo quali sono stati i legami? I più sostengono che il culto risalga al tempo delle invasioni barbariche, quindi prima dell’anno Mille, ma la verità è che il cuore dei bergamaschi ha sempre pulsato per l’unico vero nostro martire, Alessandro. Ecco perché a lui venne dedicata la Cattedrale e quindi ceduto il posto d’onore nel catino absidale, mentre Vincenzo venne relegato nella cappella condivisa con statua e cimeli di Santo Papa Giovanni XXIII. Comunque, in città è possibile tacciare un itinerario vincenziano, dacché - appunto - almeno per qualche secolo si è vissuti sotto la sua protezione.
[Episodi della vita di San Vincenzo, Nuno Gonçalves, XV secolo, Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona]
Ad una prima indagine, si contano circa settanta immagini di S. Vincenzo nella nostra Diocesi: 13 solo in città - tra la Cattedrale, la casa dei canonici, la basilica di S. Maria Maggiore e la basilica di S. Alessandro in Colonna - le restanti sul territorio, tra cui quelle nella parrocchiale di Cerete Basso, l’unica dedicata a S. Vincenzo, e nelle tre chiese parrocchiali che lo hanno come compatrono (Gromo con S. Giacomo, Ponteranica con S. Alessandro, Pradalunga con S. Cristoforo). In città, le immagini in cui si rinviene la sua effige sono sia sui paramenti liturgici della Cattedrale e del suo Tesoro, custodito nel museo (stole, pianete, piviali), che nelle suppellettili, tra cui calici ed ostensori; nelle tele di Carlo Ceresa e di un anonimo in Cattedrale che ne raffigura uno degli atroci martiri subiti, in quella popolata da una miriade di santi opera di Antonio Boselli in Basilica e in quella di un anonimo di fine Cinquecento in S. Alessandro in Colonna (Pietà tra i Santi Alessandro e Vincenzo) oltre che nella veduta a volo d’uccello di Bergamo di fine Cinquecento, in cui figura compatrono di Sant’Alessandro (esposta nell’ufficio del Direttore della Biblioteca Mai e duplicata a più riprese da Alvise Cima nel 1693, di cui una copia è nel Museo Storico del ‘500); a tutto tondo sul protiro nord della Basilica e nella chiave di volta dell’arco di accesso all’antica canonica di Via Mario Lupo, istituita dal Vescovo di Bergamo nell’897. Beh tutto sommato qualcosa di lui resta!