Parola di uno che di moda non ne capisce

Perché, se avessi soldi e silhouette vestirei solo abiti di Giorgio Armani

Perché, se avessi soldi e silhouette vestirei solo abiti di Giorgio Armani
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Lo confesso: sono un grande amante delle camicie hawaiane. Le metterei sempre, se il buonsenso (e la mia fidanzata) non me lo impedisse. Perché nel vestire, a volte, ci vuole anche buonsenso. Ve bene la libertà, la stravaganza, l’estro, la creatività. Ma a tutto c’è un limite. Per questo, tendenzialmente, l’unico divertissement vestiario che mi concedo sono i calzini, accessorio meraviglioso in grado di alleggerire anche il più formale e serioso degli outfit. Ma dopo aver sfogliato le gallery delle sfilate Moda Uomo di Milano, mi vien da pensare che io stia sbagliando. A quanto pare, oggi, essere “fashion”, essere “cool”, significa andare in giro vestiti da buffoni, travestirsi da giullari di una corte che pare aver perso ogni senso dell’eleganza. Per fortuna c’è ancora chi porta alto il vessillo della sobria signorilità maschile: Re Giorgio Armani.

 

APTOPIX Italy Fashion Emporio Armani

 

Avessi i soldi e la silhoutte, non avrei dubbi: gli unici capi d’alta moda che vestirei sono quelli di questa raffinato maestro di un’eccellenza tutta italiana. Non mi stupisce sapere che nel backstage, prima di far andare sulla passerella i suoi modelli, Armani dica loro poche e semplici parole: «Cercate di essere il più normali possibile». Del resto, se vesti un abito di Armani non serve altro. Come scrive Daniela Fedi su Il Giornale, «è difficile dimenticare la rasserenante visione dei suoi uomini in blu dalla testa ai piedi, oppure con sapienti interventi di nero o di marrone, o, ancora, con la più bella panoplia di grigi che si possa immaginare». E così pure un buzzurro della moda come il sottoscritto, che ha faticato fino a l’altro giorno a capire che le righe con vanno con i quadretti (il perché ancora fatico a comprenderlo, ma mi adeguo agli usi) o che certi colori non vanno con altri, capisce che vestire Armani significa, semplicemente, essere eleganti.

 

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Probabilmente il motivo per cui Armani, di anno in anno, pur rinnovandosi (nei tagli, nei colori, nei tessuti), resta sempre il Re, è riassunto in una sua stessa frase: «Questo è un lavoro serio, dobbiamo sempre chiederci perché lo facciamo e soprattutto chi la mette certa roba». Eccolo il punto: ma chi la mette certa roba? Lasciando stare per un momento i prezzi, che già mettono fuori target gran parte della popolazione maschile italiana, chi ha il coraggio di andare a lavoro con una giacca di jeans tappezzata di gattini e rose in stile Dolce & Gabbana oppure con una tunica luminescente che si fa fatica a capire se sia una camicia o una giacca? Se qualcuno dice “io”, o è un pazzo o è Lapo Elkann. E dubitando del fatto che il buon Lapo legga BergamoPost (anche se non si può mai dire), rimane soltanto un’opzione.

 

Italy Fashion Versace

[A sinistra un abito della collezione Dolce & Gabbana, a destra quello firmato da Versace]

 

Certo, anche Armani osa, ma un conto è osare, un altro prenderci per scemi. Di anno in anno la settimana della moda maschile di Milano si è trasformata in un enorme, gigantesco, colossale circo. E se in parte lo è sempre stato nei party post sfilate o negli aperitivi chic dedicati ai cosiddetti “fashion influencer”, il problema è che ora il circo ha invaso anche le passerelle. Con la conseguenza che la maggior parte delle sfilate paiono un grande scherzo, una presa in giro della società in cui viviamo, fatta di selfie, fashion blog ed egocentrismi vari. Per capirci: non metto in dubbio che la tuta invernale argentea e “pellicciosa” di Versace sia ben più vistosa di un blouson firmato Armani (avete il permesso di cercare in Google “blouson”, l’ho fatto anche io), ma allora non parlatemi di eleganza. Fatevi un autoscatto, pubblicatelo su Instagram adornato da una frase di Oscar Wilde e poi, per favore, tornate nel mondo analogico, fatto di jeans e camicie bianche, di abiti grigi e cravatte sobrie.

 

Italy Fashion Philipp_LEONItaly Fashion Giorgio Armani

[A sinistra una creazione firmata Philipp Plein, a destra Giorgio Armani]

 

Aver visto sfilare sulle passerelle di Milano certi outfit, arrivo a dire che mi ha infastidito. Non so perché. Probabilmente perché arrivo da una famiglia in cui mio padre, se mettevo una t-shirt per andare a scuola, mi guardava storto. Dopo un paio di battute taglienti me la lasciava indossare, ma il messaggio era arrivato forte e chiaro: l’abito non farà il monaco, ma ne fa l’immagine. E l’immagine, oggi come allora, conta. Per questo ai pantaloni simil “tubo da idraulico” di Philipp Plein continuo a preferire un pantalone morbido, formale, ma dal taglio classico di Armani. Anche se, sopra ogni mia preferenza, restano sempre loro: le camicie hawaiane.

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