Adesso tocca a loro. In realtà, toccherebbe sempre a loro, visto che in campo ci vanno i giocatori e non gli allenatori, ma davanti a un cambio in panchina tutti gli alibi possibili spariscono e la risposta del gruppo dev’essere quella giusta. Quella vera. Senza nessuna eccezione.
L’Atalanta, intesa come squadra, domenica (9 novembre) è uscita tutta dal campo dopo il coro della Pisani che invitava a tirar fuori gli attributi e un “Alé Atalanta” a decibel fortissimi. Con de Roon che applaudiva, tante teste basse e una convinzione comune: la Dea non è questa.
Quel “tocca a loro” racchiude tante piccole cose. Perché l’Atalanta non è reduce da numerose sconfitte di fila, ma da un’altalena di prestazioni francamente incomprensibile, oltre che inaccettabile. Cremona giù, Milan su, Udine giù, Marsiglia su, Sassuolo giù.
Chi osserva bene le partite, non può non essere concorde: se nel giro di pochi giorni passi dalle stelle alle stalle, la “mano” di quello che siede in panchina, per quanto primo responsabile (infatti ha pagato), non può essere l’unica spiegazione. Il difetto che spiega e l’inadeguatezza che giustifica.
Quando l’Atalanta creava palle gol e non le trasformava, erano i calciatori a fallirle. Quando l’Atalanta (con lo stesso modulo) giocava 20-30 metri avanti e con aggressività, piglio, spirito e poi, nel match dopo, trotterellava anche sotto di tre reti con una neopromossa, aveva gli stessi giocatori in campo. Professionisti con dei valori e che hanno anch’essi responsabilità per quanto sta accadendo.
C’è tempo per rimediare, presto ci sarà un nuovo allenatore in panchina e c’è una stagione da raddrizzare. Adesso tocca a loro, ai giocatori. Le qualità sono indiscutibili, devono fare solo una cosa: giocare come sanno.