Bellini racconta festa e gol «Solo uno non s'è agitato»

Bellini racconta festa e gol «Solo uno non s'è agitato»
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Il giorno dopo la grandiosa festa del Comunale Gianpaolo Bellini non ha riposato più di tanto. Un impegno a Milano con l’AIC, Associazione Italiana Calciatori, lo ha subito riportato alla realtà e per tutta la giornata di riposo è stato un susseguirsi di impegni, telefonate, messaggi e interviste. Lo abbiamo sentito nel tardo pomeriggio e, ancora inebriato dall’enorme affetto ricevuto, ha parlato a cuore aperto delle emozioni che sta vivendo.

La prima domanda è scontata: come ci si sente il giorno dopo la gara d’addio?

«È altrettanto bello, è ancora tutto molto bello. Stanno arrivando tante chiamate, anche dei giornalisti che di solito sentivo poco durante la stagione, e centinaia di messaggi. Voglio rispondere a tutti e già mi sono portato avanti: me ne mancano solo una trentina. È tutta gente che mi ha voluto dimostrare, con parole semplici, la sua vicinanza in un momento così importante. Sono riconoscente e ne vado fiero».

C’è un messaggio che proprio non si aspettava?

«Direi di no, ma è difficile. Sicuramente non mi aspettavo ex compagni con cui ho giocato poco, piuttosto che ragazzi vecchi amici di paese che magari non sentivo da tanto tempo e in questa occasione hanno voluto farsi vivi. È una sensazione davvero bella, sono travolto dall’affetto della gente e questo mi riempie di gioia».

Federico, il suo primogenito che ha quasi 2 anni, le ha detto qualcosa di particolare?

«Nelle ultime settimane qualcosa è cambiato, dev’essere scattata una molla con lo stadio e il pallone: giocherebbe sempre, in continuazione. Anche in casa vuole sempre giocare a calcio, io non ho spinto e lui ha iniziato a dire “papà”, “stadio” e “pallone”. Ieri, ha detto anche “gol” e quando gli ho chiesto “cosa ha fatto il papà oggi?”, mi ha risposto proprio così facendo un grande sorriso. Mia moglie magari avrebbe preferito che si appassionasse alla danza, vediamo come continua ma nel complesso voglio solo che siano felici».

 

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Torniamo al rigore, ha confabulato con Diamanti prima di andare sul dischetto...

«Non ricordo di preciso che cosa ho detto a Diamanti, ma sicuramente gli ho chiesto se era sicuro. La verità è che non era in programma di calciare un eventuale rigore. La mattina prima della partita ho parlato con Reja e gli ho detto: “Mister, non facciamo cavolate: tutti dicono "lo tira Bellini", ma che lo tiri chi deve, non facciamoci prendere in giro da tutti”. Quando Rizzoli ha fischiato, ho visto i compagni che andavano a prendere la palla e ho pensato che tutto stava procedendo per il meglio, come avrebbe dovuto essere in una partita normale. Poi la Curva ha iniziato a cantare il mio nome, Diamanti si è girato verso di me e ho capito tutto».

Già, l’occasione di segnare il primo gol in casa della carriera in serie A era troppo importante.

«Ho preso quel pallone con grande voglia, sono contento di aver segnato e ho ripensato subito a quello che avevo dichiarato ad inizio stagione: sognavo di fare un gol sotto la Curva prima di smettere. È successo nel giorno più bello ed è servito per pareggiare: non avrei potuto chiedere nulla di meglio per l’ultima partita a Bergamo davanti ai nostri tifosi».

Qualche difficoltà ad infilare la fascia a Cigarini al momento del cambio l’abbiamo vista...

È vero (ride), ci ho messo più o meno un quarto d’ora e credo di averla anche messa al rovescio. I compagni sono arrivati lì vicino e mi hanno fatto sentire la loro presenza, io ho pensato solo a lasciare il campo velocemente perché altrimenti sarei crollato dall’emozione. Il mister mi ha detto di non piangere, i compagni lì vicino hanno provato a fare altrettanto ma non ce l’ho fatta e prima ancora di riuscire a ringraziare tutti quelli che mi stavano facendo sentire il loro affetto mi sono lasciato andare».

La sensazione diffusa è che lei non uscirà mai di scena...

«Adesso sono uscito di scena, dal campo almeno. Rimarrò nella famiglia Atalanta e spero di poter dare ancora una mano ma, indipendentemente da tutto, il mio rapporto con questa maglia e con questa società resterà indissolubile. Non so ancora cosa farò, so bene che il presidente aspetta una mia proposta ma sinceramente sono confuso. Mi sono sempre dedicato al campo, quindi non ho delle competenze specifiche che mi permettano ora di fare qualcosa di chiaro e definito. Sono sempre stato un calciatore, adesso è il momento di fare altro e voglio valutarlo con serenità perché sono conscio che sarà fondamentale imparare e studiare. Mi piacerebbe avere il tempo di farlo, non vorrei avere subito un ruolo importante perché voglio partire dal basso, imparare e costruirmi una competenza per il futuro».

Che cosa le ha detto sua moglie?

«È stata una giornata intensissima per tutti e due. Forse lei è crollata più di me, io alla fine ero in campo e mi sono sfogato. Lei, come mio papà e i miei fratelli, piuttosto che tutti i parenti che anche per la prima volta sono venuti allo stadio, hanno sofferto e si sono emozionati tantissimo. Cristina mi ha raccontato che nel momento del calcio di rigore stava allattando Luca, quattro mesi: quando il pallone si è insaccato, ha fatto un salto e un grande urlo, ma il piccolo è rimasto tranquillamente attaccato al seno. Fantastico».

Quello più bello e quello più difficile: scelga due “momenti” della sua carriera da raccontare.

«Adesso, a caldo, dico che il momento più bello l’ho vissuto proprio a cavallo di Atalanta–Udinese, l’ultima partita. Sembra paradossale, ma è così. Nei giorni prima, durante il match e anche nelle ore immediatamente successive è stato un continuo di emozioni che non ho mai provato in nessuna promozione, dopo nessuna partita, in nessun frangente. Il momento più toccante è stato quella sera del 11 novembre 2005 a Cremona. Scesi in campo pochi giorni dopo la scomparsa di mamma Gabriella, un momento terribile e anche se la vita deve andare avanti ho il rammarico più grande: se ci fosse stata, domenica allo stadio, sarebbe stata orgogliosa di me».

Lavoriamo di fantasia: tra 10 anni siete tutti sul divano di casa, spunta il video della gara di domenica. Come la spiega ai suoi figli una giornata così?

«Direi, molto semplicemente, che se ce l’ha fatta il papà possono farcela anche loro. Tranquillamente. Se il papà da buon giocatore è riuscito a vivere una giornata con tanti riconoscimenti di quel tipo lavorando e impegnandosi ogni giorno al massimo vuol dire che anche Luca e Federico, con lo stesso spirito, potranno togliersi tante soddisfazioni e vivere emozioni bellissime. Per tutta la vita».

Proviamo a chiudere con una notizia: lei è l'emblema del bravo ragazzo. Possibile che non abbia mai litigato con nessuno? Non ha qualcuno a cui chiedere scusa?

«Sembra incredibile ma non ricordo di aver mai litigato con nessuno. Quindi non saprei proprio. Facciamo così, torniamo in famiglia: prometto a mia moglie che cercherò di essere più attento, la faccio un po’ arrabbiare ogni giorno perché capita che mi dimentico le cose e mi rimprovera che magari mi parla e io sono assorto davanti a una partita benché ne guardi molto poche. A casa siamo sempre molto impegnati, ma d’ora in avanti sarò attentissimo, magari con un bel blocchetto per gli appunti in modo da non dimenticare proprio nulla».

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