Il personaggio

Intervista ad Andrea Masiello, l'uomo che domenica ha vinto due volte

Atalanta-Genoa, per lui, è stata l'occasione per tornare in campo da protagonista e farsi travolgere dall'affetto del popolo atalantino

Intervista ad Andrea Masiello, l'uomo che domenica ha vinto due volte
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di Fabio Gennari

Sono le 22.45, Andrea Masiello è reduce da una cena con amici di lunga data a Genova e quella che vale l’intervista è la terza telefonata della giornata. Tra una risata e l’altra, la prima battuta che arriva è questa: «Fabio, come si fa a fare un’intervista io e te?». «Molto semplice, Andrea: solo 5 domande e poi spazio libero alle emozioni. Diventa tutto molto, molto più semplice». Andrea Masiello ormai è un giocatore del Genoa, la prima impressione del nuovo ambiente è molto positiva e per uno che si sente ancora calciatore ci sono tante sfumature che danno stimoli e motivazioni per il futuro. La salvezza, prima di tutto.

Questo però è il momento del ricordo. Domenica allo stadio abbiamo visto tutti quanto si è emozionato l’ex numero 5 dei nerazzurri sul terreno di gioco, ma solo sentendolo parlare, tra Genova Ovest e Pegli, si capiscono fino in fondo le vibrazioni del cuore di un viareggino che ormai ha messo radici a Bergamo: dopo l’esperienza con il Genoa, Andrea Masiello vivrà con la sua splendida famiglia alle porte della nostra città. Ha comprato casa, sarà pronta solo tra qualche mese ma ormai il futuro è segnato.

Andrea, la prima domanda è semplice: quando ti sei reso conto che avresti davvero giocato contro l’Atalanta?

«La percezione piena l’ho avuta solo il giorno prima della gara. Siamo arrivati a Bergamo da Milano, abbiamo passato Capriate e poi Dalmine e poi siamo usciti dall’autostrada in città. Lì ho realizzato davvero quello che stava accadendo. Qualche giorno prima sei stato travolto da sentimenti ed emozioni e non riesci a toccare bene con mano quello che sta per accadere. Quindi il mio momento, quello in cui ho davvero capito che avrei giocato contro la mia Atalanta, è arrivato in autostrada. Tra Capriate e Bergamo».

Sei entrato in campo, ci sono stati i cori dei tifosi e poi gli abbracci nel tunnel. Ma in campo, durante la partita, come è stato sentire quelle voci che fino a poco prima erano “amiche” e diventare improvvisamente “avversarie”?

«Incredibile. Ero sul campo e sentivo continuamente cose che fino a pochi giorni prima erano la quotidianità dei miei compagni. Su ogni calcio d’angolo avevo vicino Zapata, Toloi, Palomino e tanti altri che per anni sono stati seduti vicino a me nello spogliatoio. Sembrava di essere in un sogno, in una situazione non reale. Ho provato qualcosa di incredibile. Anche nel primo tempo, quando sullo sfondo vedevo la Curva Pisani e i miei vecchi compagni giocare la palla, avevo la sensazione della partita del giovedì. Titolari contro riserve. È difficile spiegare per bene cosa si prova, con gli amici e con chi per anni è stato vicino all’ambiente atalantino si cerca di dipingere un quadro di emozioni che solo quando sei in campo, in quel preciso momento, puoi assaporare».

Quasi 9 anni con la maglia della Dea, ne sono successe di tutti i colori. Te la senti di scegliere un momento che, più di tutti, ti è passato davanti in questi giorni e ti rende orgoglioso?

«Ho passato anni incredibili, questa domanda è difficile. Davvero. A Bergamo ho vissuto momenti da urlo ma ci sono tre momenti che secondo me rappresentano al meglio l’orgoglio, la felicità e l’emozione che mi ha dato indossare la maglia dell’Atalanta: il ritorno in Europa dopo 26 anni, la finale di Coppa Italia e la qualificazione in Champions dell’anno scorso. Ne dimentico altri, dal Borussia a tanti altri momenti che nessuno ci porterà mai via. Domenica, mentre mi emozionavo, ho rivisto anche tutti questi splendidi momenti ripassarmi davanti agli occhi».

Hai pianto, lo abbiamo visto tutti. Lo hai fatto camminando dalla Morosini fino alla Pisani, eri insieme alle tue due bimbe più grandi: ci racconti cosa ti hanno detto?

«Alessandra, mia moglie, si vergognava. Volevo anche lei. “Vai con le bimbe, sono la nostra forza”, mi ha detto. Ho preso per mano le prime due, Matilde e Aurora, e abbiamo iniziato a camminare. Aurora era presa dalla situazione e guardava la gente, Matilde è la più grande ed è stata da subito molto attenta a me. “Papà, ma stai piangendo?”, mi ha chiesto e io ho candidamente risposto: “Si, amore. Mi sto emozionando perché sai che qui sono stato tanti anni e ho vissuto tanti momenti importanti”. Poco dopo, mentre mi guardava, ha sussurrato parole tanto semplici quanto stupende: “Papà, stai tranquillo che tanto ci sono qui io. Ti tengo la mano”. Una bimba di 8 anni, in quel momento, ha perfettamente capito cosa stavo per vivere: il mio pianto a dirotto è legato anche a queste parole. Emozioni incredibili, me le porterò dentro per sempre».

Da papà eri in campo con le tue bambine mentre in tribuna ti seguiva con lo sguardo il tuo, di papà, Mario. Come l’ha vissuta?

«Mio padre non ha giocato ad alti livelli, ma mi ha sempre seguito. Ha sofferto anche lui nel vedermi passare in poco tempo da protagonista di campo a ultima alternativa. Mi ha sempre dato consigli, sapeva che il mio atteggiamento era giusto e mi spronava a dare sempre il massimo. Negli ultimi giorni è stata dura, per lui ma anche per mia moglie Alessandra. Domenica papà ha voluto esserci e si è commosso: ha rilasciato anche un’intervista alla Rai e parlando di come il popolo atalantino mi ha accolto, ha apprezzato e apprezza suo figlio, si è dovuto fermare. L’emozione ha preso il sopravvento. Anche in lui».

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