La partita più difficile di Malinovskyi, quando il calcio serve anche a mandare messaggi di pace
Per il numero 18 della Dea è stata davvero dura giocare, perché nel frattempo nella sua Ucraina infuriava la guerra
di Fabio Gennari
Quelle mani giunte sono più potenti del suo sinistro. Gli occhi fissi verso gli obiettivi dei fotografi, attimi rubati alla gioia di un gol che serve a lanciare ancora più forte un messaggio che chiede solo una cosa: la pace. In Ucraina questa volta, ma non solo lì. L'invasione russa nei territori ucraini è una ferita freschissima e Ruslan Malinovskyi, con la sua grande prestazione di ieri condita anche con una doppietta, è come se avesse portato in campo tutta la sua rabbia, la sua paura, il suo grido di pace.
Gasperini a fine partita ha confermato quanto fosse stata difficile la giornata dell'ucraino. «Gli ho chiesto se se la sentiva», ha detto il tecnico della Dea. Ruslan ha detto ok e poi in campo ha fatto vedere perché se la sentiva. Tocco di tacco per avviare l'azione del primo gol, sinistro appena dentro l'area di rigore sotto l'incrocio di sinistra per il 2-0 e gran stoccata sotto l'altro incrocio, quello di destra, per chiudere i conti con il definitivo 3-0. E molto altro. Quando è uscito dal campo, dalla tribuna è arrivato l'applauso.
Ci sono tanti fotogrammi che rapiscono il cuore. Quella maglia con la scritta a pennarello in cui chiede la pace in Ucraina, le mani giunte per pregare. L'abbraccio di tutti i compagni, Demiral che dopo il gol lo riporta davanti agli obiettivi e lo invita a mostrare nuovamente quel pensiero. Il gruppo era lì con lui: tra i messaggi arrivati sui social dopo il 90', sulla strada del ritorno a casa, ce n'è uno di Marten de Roon che accompagna la foto dell'esultanza di Malinovskyi.
«Ci sono cose più importanti di una vittoria, i miei pensieri sono per le persone in Ucraina», ha scritto sui social, in inglese, il numero 15. «Stay strong, stay safe», conclude poi. Un invito a essere forti e a cercare di mettersi in sicurezza. Prima che uomini di calcio, questi sono ragazzi che magari non hanno nemmeno compiuto 30 anni e che si trovano in vetrina per giocare a pallone mentre in qualche posto del mondo ci sono bombe, morti e feriti. Se poi la zona di guerra è quella del Paese dove sei nato o dove è nato un tuo amico, allora tutto diventa ancora più incredibile.