La «polvere sulle pepite», il rapporto coi calciatori e il futuro: il "Gasp-pensiero" a Dazn
Interessante chiacchierata del tecnico nerazzurro con l'ex difensore juventino Barzagli nel cuore del Centro Bortolotti di Zingonia
di Fabio Gennari
Tanti concetti li conoscevamo già, altri è stato importante sentirli ribadire. Nel complesso, Gian Piero Gasperini, intervistato dall'ex Juventus Barzagli su Dazn, ha regalato ancora una volta tanti spunti di riflessione. L'uomo che ha stravolto il calcio a Bergamo ha parlato del passato, del presente e del futuro. Dell'Atalanta ma anche del calcio italiano. Senza freni e regalando qualche curiosità sul suo rapporto con i calciatori che allena e per cui, parole sue, conta soprattutto quello che fanno al campo.
L'inizio con l'Atalanta
«È stato un processo difficile. Tanti giocatori che erano qui da tempo erano dei leader, ma ho sempre pensato in un modo: faccio finta di arrivare da un altro pianeta per guardare il lavoro e capire quali sono i migliori. Il mio occhio cascava su questi giovanotti, semplicemente. Non è che avevo qualcosa con gli altri. Io in quel momento valutavo l’aspetto tecnico, poi è importante la capacità di fare gruppo, il carattere. Ricordo la prima volta che parlai col presidente, mi disse che il suo sogno era quello di veder giocare i giovani del vivaio. Io guardai la rosa e pensai: ma sono già lì, bastava soltanto togliere un po’ di polvere per trovare le pepite. Era una squadra inizialmente tutta italiana, di giovanissimi che sono esplosi subito».
Il calcio italiano e il futuro
«La qualità è sicuramente scesa, si è fatto il gravissimo errore di non aver coltivato il nostro "prodotto", ci sono pochissimi giocatori italiani. C’è una base enorme di ragazzini che giocano a calcio, non vedo come sia possibile che non vengano fuori giocatori. Qualche cosa sbagliamo noi, non di certo i bambini. Non abbiamo valorizzato il nostro prodotto, a discapito di tanti giocatori mediocri che sono arrivati in Italia. Bisogna avere il coraggio di dirlo, hanno abbassato molto il livello del campionato. Trincerarsi dietro quell’aspetto è riduttivo, dobbiamo rilanciare quello che sono i nostri ragazzi».
Il rapporto con i giocatori
«Con quelli che giocano è molto buono. Caratterialmente non sono il padre di famiglia, chiedo molto sul campo e negli allenamenti, non sono uno che si informa su cosa fai o meno fuori dal campo, l’importante è che chi arrivi qui e tu sia nelle condizioni di far bene».
Gli attaccanti del passato e del futuro
«Il Papu e Ilicic erano due grandi giocatori. Diversi tra loro, però è il caso in cui vale la classica frase: “Con loro metti la palla in banca”. Poi è arrivato Zapata e siamo andati in Champions. Poi Muriel. In seguito forse ci siamo un po' fermati. Quest’anno sono arrivati Lookman e Hojlund, ci hanno dato una bella spinta. Ora c’è un altro tipo di squadra, al di là dei singoli giocatori comunque qui ho sempre avuto un nucleo importante».
Gli allenamenti
«Quest’anno siamo tornati a introdurre una parte tecnica individuale. Ho trovato la necessità di incrementare proprio i fondamentali, altrimenti non viene niente: puoi preparare quello che vuoi, ma se non ti esce il passaggio o lo stop… Non credo di fare allenamenti tanto diversi da altre squadre, per me ci sono due principi fondamentali: la varietà, perché sono sempre alla ricerca di esercitazioni o allenamenti diversi, e poi i giocatori ci devono credere. Un’altra cosa che vedo quando giochiamo all’estero è che difficilmente vedo giocatori che escono perché sono affaticati».