I motivi per cui l'Atalanta punta tanti giovani stranieri

I motivi per cui l'Atalanta punta tanti giovani stranieri
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Nel giorno della chiusura dell’affare Conti con il Milan per 24 milioni di euro più il giovane Pessina (valutazione di tre milioni), in casa Atalanta è arrivata anche la notizie delle visite mediche cui si è sottoposto questa mattina il belga Timothy Castagne. In attesa dell'ufficialità, proviamo a ragionare un po’ sul mercato della Dea e cerchiamo di spiegare la strategia che, in qualche caso, non è ancora stata ben capita dalla gente. L’obiezione, circolata negli ultimi giorni, è questa: si parlava di modello Bilbao e di acquistare o lanciare italiani o bergamaschi e invece arrivano solo stranieri. Nonostante un mercato che, per i parametri standard della Dea, va definito stellare, c’è una corrente di pensiero che pur essendo soddisfatta delle operazioni si pone il problema di come mai l’Atalanta ingaggi tanti giocatori stranieri piuttosto che nostrani. Il modello, all’apparenza, sembra molto più vicino a quello dell’Udinese che a quello del Bilbao, ma basta una rapida analisi di costi, tempi e benefici per capire che ben presto esisterà anche un modello Atalanta.

 

 

Prima di tutto i costi: l’Italia non è un mercato per giovani. Il mercato italiano non rappresenta in nessun modo una buona vetrina per acquistare giovani. Chi ha elementi cresciuti in casa o comprati per tempo a basso costo o ancora tutelati da clausole di “ricompra” entro i limiti della follia, riesce in qualche modo a mettere insieme operazioni di un certo livello, ma tutti gli altri sono più orientati all’estero dove a parità di costo del cartellino si possono comprare giocatori con un’esperienza maggiore. In Italia ragazzi come Bernardeschi e Berardi hanno valutazioni di 40 o 50 milioni di euro (elementi che la Champions l’hanno vista con il binocolo), Juventus a parte non c’è nessuno che corre dietro a certe operazioni e il Napoli (tanto per fare un esempio) si informa del costo del centravanti del Sassuolo e poi invece vira sul giovane Ounas. La stessa Atalanta, sul mercato italiano, non può far altro che continuare a vendere splendidamente i suoi pezzi pregiati (Gagliardini, Kessiè, Conti e Caldara) cercando di strappare clausole e di mantenerli in organico il più a lungo possibile. Allargando ulteriormente gli orizzonti, si vedrà che non c’è nessuna formazione italiana che sta puntando giocatori italiani per migliorarsi. O sono elementi esperti e fuori dal loro momento migliore oppure sono giovanotti di belle speranze. Per Belotti servono cento milioni, Di Francesco e Chiesa sono molto chiacchierati ma non si muovono e le big preferiscono investire su turchi (il Milan) o cechi (la Juventus) piuttosto che su nomi nostrani. Certamente prezzi così alti sono legati anche ai pochi giocatori di livello presenti, se pensate che la Roma per riprendersi Pellegrini ha dovuto sborsare dieci milioni di euro (è un prodotto del vivaio) è chiaro come il modello da seguire sia un altro.

 

 

Poi i tempi: guardate le annate, il futuro è nerazzurro. Un modello come quello dell’Athletic Bilbao non si costruisce né in una stagione né in dieci e quindi è fondamentale ragionare sul lungo periodo. L’Atalanta sta comprando già dall’anno scorso elementi di grande interesse del 2000, 2001, 2002 e pure 2003 da far crescere in casa, mentre in questa sessione di mercato sono stati ingaggiati ragazzi come Mancini (difensore, classe 1997), Vido (attaccante, classe 1997) e Pessina (centrocampista, classe 1997). Molti altri andranno a giocare in prestito, dallo stesso Pessina al centrocampista Valzania (classe 1996) passando per i vari Tulissi (1997) e Pugliese (1996) che sembravano dei giocatori già pronti e invece sono ancora in giro per l’Italia a peregrinare. L’Atalanta ha poi due squadre scudettate nel 2016 (nidiata dei 1999 e dei 2001), con ragazzi che sono in rosa in prima squadra (Bastoni), che andranno in ritiro (Melegoni) oppure che sono stati espressamente richiesti da un maestro di calcio come Zeman a Pescara (Capone e Latte Lath). Tutti questi giovanotti del vivaio orobico sono da tenere sotto controllo per un progetto che nel medio periodo potrebbe sicuramente farli rientrare nel giro della prima squadra andando ad alimentare quell’idea di squadra autoctona (per origini e formazione calcistica) che è un po’ il sogno di tutti i calciofili nostrani che da sempre tifano per una squadra che li rappresenti pur senza vincere coppe e titoli.

 

 

Infine i benefici: con l’Europa da giocare, mercato sacrosanto. Chiudiamo con i benefici della strategia che i dirigenti orobici stanno portando avanti. Il mercato estivo finora ha dato tutte le alternative necessarie al Gasp e anche se fare meglio è sempre possibile va sottolineato come alla Dea mancassero alternative e non titolari. L’unico innesto pronto per giocare immediatamente nell’undici di partenza è Ilicic, tutti gli altri avranno almeno due mesi di tempo per conoscere il nostro calcio prima della grande sfilza di partite che tra settembre e dicembre saranno in calendario. I bilanci sono a posto, gli investimenti sono ponderati (Vido è costato un milione di euro) mentre per i big da rinnovare e per gli altri ragazzi da ingaggiare si sono fatte scelte molto logiche e controllate da cui potrebbe uscire soltanto uno come de Roon oppure un prospetto di livello assoluto come il giovane Guedes del Palmeiras. Manca ancora troppo tempo per fare pagelle e dare giudizi ma se il buongiorno si vede dal mattino, parafrasando Vasco Rossi si può dire che la stagione alle porte sarà una splendida giornata.

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