Quando la Dea gioca così, può battere chiunque. E la Champions non è un sogno
di Xavier Jacobelli
Dopo due partite storte, con l’Inter e con il Sassuolo, l'Atalanta ha clamorosamente ritrovato se stessa proprio in uno dei numerosi spareggi Champions che giocherà da qui alla fine del campionato.
La grande vittoria in casa della Lazio ha un valore molto prezioso: va al di là anche del terzo posto ora in condominio con il Milan e con la Roma. Per l’autorevolezza con la quale è stata ottenuta, per la prodezza di Zappacosta, per la micidiale potenza di Hojlund e per le grandi parate di Musso, ritornato a essere uno dei migliori portieri della Serie A. Il tridente ha cambiato un interprete, da Boga a Koopmeiners schierato trequartista con Ederson in mediana, un'inversione di ruoli che ha premiato la felice intuizione di Gasperini: così la squadra ha raggiunto quell'equilibrio che le era mancato sia al Meazza e sia al Mapei Stadium.
L'impresa di Roma è scaturita da una delle più belle prove corali dei nerazzurri, evidentemente pungolati dalle critiche che avevano scandito i commenti negativi delle ultime due uscite. Squadra compatta, concentrata, tatticamente ordinata, smaniosa di imporsi su un’avversaria che, invece, è scivolata dal terzo al sesto posto in classifica e alla quale il pubblico di casa non ha risparmiato fischi all’uscita dal campo.
L'Atalanta, invece, merita tutti gli applausi che le spettano: quando la Dea gioca così, può battere chiunque. L'abbiamo detto in tempi non sospetti e lo ripetiamo; questa squadra può andare in Champions League, obbedendo sempre alla filosofia del calcio d'attacco che Gasperini le ha inculcato. E pazienza se ha steccato anche due volte di fila.
Il bello della Dea è che quando cade, si rialza, E se ricade, si rialza ancora.