Scaloni e la maglia di Gerrard regalata all'amico Del Grosso

Scaloni e la maglia di Gerrard regalata all'amico Del Grosso
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Ci sono calciatori di cui si parla per le doti tecniche, atletiche o agonistiche. Ci sono ragazzi che salgono agli onori della cronaca per la velina o la cresta di turno. E poi ci sono uomini che giocano a pallone. Magari da un sacco di tempo, mettendoci una passione grande come un palazzo e non smettendo mai di stupire. A Zingonia si allena uno di questi “uomini che giocano a pallone”. Non è un personaggio, non lo troverete mai sulle prime pagine dei giornali. Però se chiedete ad un compagno con lui cosa pensa di Lionel Scaloni, ve ne parlerà bene.

Classe 1978, una carriera iniziata nel 1993 e una voglia di calcio totale, Scaloni ha giocato una partita con l’Atalanta in tutto il 2014 e una nel 2015 sul campo della Fiorentina in Tim Cup. Sembrerebbe il classico “numero” di una rosa e, invece, basta ascoltarlo per capire la sua importanza nel gruppo e i suoi valori. Un’intervista esclusiva per BergamoPost da leggere mettendosi comodi, tante curiosità davvero divertenti e una certezza: se nasci a 800km dal mare e a 900km dalla montagna, è normale essere innamorato della campagna.

1) Scaloni e l'Atalanta: come possiamo raccontare il rapporto iniziato a gennaio del 2012?

Non sono riuscito a dare quello che volevo, dentro al campo. All’inizio ho avuto continuità, poi per qualche infortunio e per scelte del mister non sono stato protagonista, ma credo fermamente che un calciatore debba dare il massimo sia dentro che fuori dal campo. Nello spogliatoio, nei rapporti con i compagni. E, da questo punto di vista, sono contento del lavoro che faccio per la Dea, ogni giorno. L’età è quella che è, il tempo passa per tutti e quindi mi impegno per fare al massimo quello che posso per dare una mano ai compagni e al mister.

2) Due presenze in Coppa Italia dopo un 2014 complicatissimo: è stato il tuo anno peggiore?

Sì, assolutamente. Non ho praticamente mai giocato, in quasi 21 anni da protagonista mi sono sempre trovato ad essere prezioso per gli allenatori che ho avuto. Dall’inizio o a gara in corso, il mister sapeva che poteva contare sempre su di me. A fine 2013 ho avuto quei problemi al ginocchio, ho giocato con un menisco rotto come a Sassuolo. In tutto il 2014, dopo essermi messo a posto, sono sceso in campo solo contro l’Avellino: sono cose che capitano a tutti, fortunatamente a me è successo verso la fine della carriera. Devo dire anche che assimilo e accetto senza problemi le scelte dell’allenatore anche perché forse inizio a pensare un pò come chi si trova dall’altra parte, cioè da mister. Da chi deve fare delle scelte. Un giocatore deve allenarsi, sempre al massimo e pensando di dover scendere in campo da titolare.

3) Nel campionato 2013/2014, prima di Natale, hai giocato con un menisco rotto rispondendo sempre presente: perchè?

Passione, rispetto per il gruppo o quale altro motivo per dare la propria disponibilità e giocare con un menisco rotto? La squadra aveva bisogno di me, serviva una pedina in quel ruolo e io potevo dare una mano. La condizione era migliore rispetto ad altri infortunati che stavano molto peggio, se ci fosse stato qualcuno messo meglio di me mi sarei tirato indietro per il bene del gruppo. Gioco a calcio perché mi piace, so fare anche altro e un domani chissà cosa mi riserverà il futuro ma si avvicina la fine della mia esperienza in campo e, quindi, ogni volta che c’è anche la più piccola possibilità di scendere in campo rispondo presente.

4) Mai sopra le righe, mai una parola fuori posto, mai una cresta: tu che sei “vecchio stile”, come giudichi i giovani calciatori?

Bisogna parlare della vita in generale, non solo del mondo del calcio. Ho una sorella di 20 anni, si chiama Corinna e guardando come è lei mi rendo conto che è cambiato tutto. I ragazzi di oggi crescono molto più velocemente rispetto a quando eravamo noi giovani, a 14 anni vanno in discoteca mentre io ho iniziato quando giocavo in serie A da tempo.

Mi ricordo quando avevo 16 anni e guardavo i vecchi dello spogliatoio: c’era una forma di rispetto totale che oggi è un pò cambiata. Non dico che non ci sia più rispetto, ma non è la stessa cosa. Sono sincero, non mi piace molto l’atteggiamento dei ragazzi di oggi e lo dico indipendentemente dal taglio di capelli. All’Atalanta, per la verità, la situazione è molto buona visto che non è mai capitato quasi nulla.

5) Nello spogliatoio siedi vicino a Daniele Baselli: è calciatore di serie A e padre a 22 anni, che consigli puoi dare per aiutarlo a non perdere il controllo?

Parlo con lui ogni giorno. Dal punto di vista tecnico e agonistico credo ci sia poco da dire, è vicino ad un livello che gli permetterà di essere protagonista: le qualità sono sotto gli occhi di tutti. Fuori dal campo, penso che la piccola appena nata gli abbia dato una scossa importante.

Dal punto di vista della personalità è ancora un ragazzo, forse non ha nemmeno idea in modo completo di quello che si sta giocando e di quello che la carriera gli riserverà tra 5 o 10 anni, ma il nostro compito nello spogliatoio è fargli capire che ha una famiglia e questo è un lavoro. Non solo un gioco. In futuro potrà andare a giocare in una grande squadra, ma non deve perdere mai il contatto con la realtà, restare umile e pensare alla sua famiglia.

6) German Denis a Milano ha chiuso un periodo complicato: come gli sei stato vicino?

Siamo sempre impegnati a confrontarci. Per un attaccante è molto importante quello che la squadra propone, io credo che nelle passate stagioni abbia regalato tanti gol ma per 15 gol magari ne sbagliava altrettanti che avrebbe potuto realizzare. In questi 6-7 mesi la squadra non ha prodotto una spinta offensiva simile al passato quindi sono calate drasticamente le possibilità di andare in rete.

E lui ne ha risentito, pesantemente. Il ritiro mancato e il problema del figlio hanno inciso pesantemente, senza dubbio, ma nella valutazione non bisogna mai dimenticare lo score realizzativo rapportandolo alle occasioni avute. Il nervosismo è normale quando passa il tempo, se la squadra migliora lui è destinato a fare di più. Ne sono sicuro. A volte parliamo di movimenti, di giocate, ma è un giocatore intelligente e quindi c’è poco da insegnargli.

7) Mauricio Pinilla ha messo una foto con tutti i sudamericani su Instagram: come si è inserito?

Sono sincero, mi ha colpito tantissimo. Da quello che si vedeva da fuori, Pinilla sembrava il classico giocatore stravagante. Molto eccessivo in alcuni aspetti come ad esempio l’immagine che passa sui giornali o sui social. Invece, ci siamo trovati di fronte ad un ragazzo tranquillissimo, l’esatto opposto di quello che sembra. Nello spogliatoio si parla e si lavora, ma lui non va mai sopra le righe.

Dal punto di vista tecnico è un bel giocatore, agonisticamente valido e con buoni fondamentali. È stato al Mondiale, penso che sia uno di quegli attaccanti che non ha ancora espresso al massimo il suo potenziale e qui all’Atalanta può dare ancora molto. Si allena bene e si è subito messo nella condizione di calarsi rapidamente nei meccanismi del gruppo.

 

gerrard

 

8) Del Grosso, la maglia di Gerrard e poi il selfie con Gomez in treno: ci racconti un po’ come sono andate le cose?

Una bella storia quella di Del Grosso. Ho conosciuto bene da Cristiano quanto considera Gerrard come un idolo, è un ragazzo splendido e ho voluto fargli un bel regalo. È stato facile, ho contattato Mascherano e ho chiesto la maglia del capitano del Liverpool, gli ho fatto una sorpresa nello spogliatoio e ho visto la sua reazione felice: bellissimo, se lo meritava e sono contento di averlo fatto.

Papu ha scritto che stava viaggiando con una “leggenda del calcio”? Magari lo ha scritto per l’età! Scherzi a parte, lui è un ragazzo che nel suo modo di giocare ha tantissimo contatto con il pallone. Senza la giocata, vuole sempre essere nel vivo dell’azione e quindi credo che la medicina migliore per recuperare e arrivare al top sia scendere in campo. Ha avuto problemi, certo, ma non aiuta nemmeno giocare ogni 10 partite. A Firenze ha fatto bene e credo abbia seguito il mio consiglio.

Gli ho suggerito di allenarsi e lavorare sempre al massimo come se dovesse scendere in campo dal primo minuto. È l’unico modo per farsi trovare al top nel momento della chiamata. In carriera ha sempre vissuto una condizione particolare, era titolare inamovibile e quindi il lavoro settimanale pesava magari meno nella preparazione vista la certezza del posto. Qui non è la stessa cosa e, quindi, bisogna adattarsi. Ma le qualità non gli mancano e sono sicuro che farà vedere ottime cose.

9) 20 punti in 19 partite, tanti momenti difficili, ma il gruppo ha tenuto: qual è il segreto di questa Atalanta?

Con la Fiorentina in casa dovevamo vincere, abbiamo giocato una grande gara. Anche con l’Inter si poteva fare di più, a qualche giornata dal termine del girone di andata forse non eravamo nemmeno convinti di arrivare a 20, quindi dico che il bottino va bene. Abbiamo squadre dietro, ne abbiamo alcune davanti che si possono raggiungere presto e, perciò, guardiamo avanti con fiducia.

10) Cosa vedi nel tuo futuro?

Mi vedo nel calcio, sicuramente. Se notate bene, spesso dalla panchina cerco di dare una mano ai compagni, mi viene naturale. Ho già frequentato alcuni corsi, ma mi manca quello definitivo per prendere il patentino dei grandi. Il problema è che in Italia, per frequentare quel corso, devi aver smesso di giocare: pazzesco, nel resto d’Europa funziona in modo molto diverso. In Spagna puoi giocare e, nel frattempo, prendere la qualifica.

Non so bene se siederei più volentieri su una panchina di ragazzi o di calciatori di prima squadra. Se tutti avessero il mio approccio, il mio spirito, la mia dedizione al lavoro sarebbe molto più semplice scegliere. Purtroppo non sono tutti uguali i calciatori. Mi piacerebbe insegnare calcio ai ragazzi che si affacciano alla Primavera, in Italia o in Europa conta poco. Purtroppo, però sono convinto che nel settore giovanile conti molto il curriculum: se sei uno che ha fatto grandi cose nel calcio, i ragazzini ti ascoltano di più. È strano questo, basta pensare a Mourinho. Però succede. Adesso vediamo.

11) curiosità sparse

1) Piatto preferito: Carne, Asado.

2) Piatto che detesti: Mangio pochissimo pesce

3) Vino o birra?: vino rosso

4) Vacanza: mare o montagna? La pianura! Sono nato a 900km dalla montagna e a 800km dal mare, mia moglie è di Maiorca e ci siamo stati 2 volte. Non vado a sciare, a Foppolo a -6 morivamo

5) Rapporto con la tecnologia e videogiochi? Mi piacciono un sacco i giochi di auto, sono appassionato di Formula Uno e questo è perchè sono nato praticamente sotto una vite visto che mio papà aveva una piccola azienda di trasporti e guidava i camion.

6) Che papà sei? Secondo mia moglie Elisa, dovrei fare di più (sorride, ndr). Però devo dire che avere un figlio a fine carriera è una fortuna: se giochi ogni 3 giorni, ti sposti continuamente in aereo e se non sei mai a casa non lo vedi crescere. Credo di essere un bravo papà, il piccolo Ian è un terremoto, ma lo sollecito ogni giorno: destro e sinistro, continuamente.

7) Il compagno più pazzo che hai avuto? Djalminha al Deportivo La Coruna

8) Quello più forte? Leo Messi, senza dubbio. Era già il migliore nel 2006 quando abbiamo giocato assieme il Mondiale. Impressionante.

9) Il posto più strano che hai visto? Trondheim, Norvegia: ci gioca il Rosenborg, ci sono stato nel mese di agosto e ho trovato 12 gradi. Pazzesco.

10) quello più bello? Casa mia in Argentina: campi di grano, di soia, animali. Una piccola fattoria. Il massimo

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