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Al Papa Giovanni sperimentata con successo una terapia genica per curare una rara malattia del fegato

Chi ha la sindrome di Crigler-Najjar è costretto a dormire sotto lampade ultraviolette per depurare il sangue dalla bilirubina. Il gene mancante, che permette di trasformare la bilirubina, è stato inoculato nelle tre pazienti grazie a un virus modificato

Al Papa Giovanni sperimentata con successo una terapia genica per curare una rara malattia del fegato
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A soli dieci giorni dall’inizio delle cure, le pazienti hanno mostrato una decisa riduzione del livello di bilirubina nel sangue. Entro un mese, la bilirubina si assesta a un livello pressoché normale, non più tossico e quindi non più pericoloso per il cervello.

Sono i risultati preliminari di una nuova terapia genica con cui sono state curate all’ospedale Papa Giovanni XXIII tre pazienti affette dalla sindrome di Crigler-Najjar. La sperimentazione, presentata venerdì scorso (22 ottobre) al congresso della European society of gene & cell therapy, è stata eseguita per la prima volta con successo, ma soprattutto si è rivelata sicura ed è stato individuato il livello di dosaggio che ne garantisce l’efficacia.

La sindrome di Crigler-Najjar

È una malattia ultra-rara per la quale, a causa di un difetto genetico, il fegato è incapace di trasformare la bilirubina, il pigmento responsabile del colore giallastro della pelle, in una forma idrosolubile e quindi eliminabile dal corpo.

Di conseguenza la bilirubina si accumula nel sangue e nei tessuti. Ma se non si adottano misure specifiche per ridurne i livelli e si deposita in quantità eccessive nel sistema nervoso centrale può causare danni cerebrali irreversibili. È come se l’ittero fisiologico dei neonati persistesse per tutta la vita anziché risolversi.  Secondo le stime questa sindrome colpisce in Italia tra le 50 e 60 persone e, ad oggi, l’unica procedura in grado di correggere in modo definitivo il difetto genetico è il trapianto di fegato.

Per tenere sotto controllo i livelli di bilirubina, invece, chi è affetto dalla sindrome di Crigler-Najjar è costretto a dormire anche fino a 10 o 12 ore sotto lampade a raggi ultravioletti; una pratica che impatta pesantemente sulla qualità della vita delle persone. Ma grazie alla cura genica sperimentata all’ospedale di Bergamo le pazienti hanno potuto sospendere questa fototerapia notturna.

Come “funziona” la terapia genica

La prima paziente al mondo con la sindrome di Crigler-Najjar trattata in modo efficace con la terapia genica è una ragazza di 29 anni. Il 18 novembre dell’anno scorso i medici della Pediatria del Papa Giovanni le hanno iniettato un virus innocuo, svuotato del suo corredo genetico e sostituito con il gene da correggere. Il virus, chiamato in gergo tecnico “adeno-associato”, è entrato nelle cellule epatiche, ha raggiunto il nucleo e liberato il piccolo frammento genetico che è andato a posizionarsi accanto al Dna della paziente, senza modificarlo. Da questo momento il “gene terapeutico” ha iniziato a produrre la proteina che i cromosomi originari non erano in grado di sintetizzare, a causa della mutazione che determina la malattia.

Quattro mesi dopo la terapia, per la ventinovenne è iniziata una nuova vita. A marzo e a giugno di quest’anno, sempre all’ospedale di Bergamo, sono state trattate con successo altre due pazienti, entrambe giovani donne di 22 anni e di 30 anni.

Lorenzo D'Antiga

 

«Tutte e tre hanno smesso di dormire sotto le lampade blu – spiega Lorenzo D’Antiga, direttore della Pediatria e principal investigator della sperimentazione -. Dopo quattro mesi di osservazione, abbiamo constatato che la terapia ha permesso di raggiungere l’obiettivo principale che ci eravamo preposti. È stata una vera emozione vedere i segni così evidenti dell’effetto sulle tre pazienti. Il colore della loro pelle ha perso il caratteristico colore giallastro tipico della malattia. Ma il dato più importante, al di là dell’aspetto estetico e della possibilità di sospendere la fototerapia intrapresa fin dalla nascita, è che per queste pazienti si prospetta ora una riduzione dei rischi causati da questa proteina tossica per il sistema nervoso centrale e a livello cerebrale. Dimostrata la sicurezza della terapia ed individuata la dose che ne garantisce l’efficacia, ora la sperimentazione prosegue con l’obiettivo di definire la durata nel tempo di questi effetti positivi».

Un risultato in gran parte italiano

I protagonisti di questo risultato internazionale sono in gran parte italiani. La sperimentazione, che vede l’ospedale Papa Giovanni XXIII come uno dei centri investigativi, è stata realizzata nell’ambito del progetto internazionale di ricerca denominato “CureCN”, condotto da Généthon (organizzazione fondata da AFM-Telethon, associazione di pazienti che organizza il Théléthon francese) e finanziato dalla Comunità Europea all’interno del programma “Horizon 2020”.

Fanno parte del progetto di ricerca anche Tigem Pozzuoli (organizzazione no-profit fondata dal Telethon italiano) e, come centri di ricerca, anche gli ospedali universitari di Amsterdam AMC e Parigi Antoine Béclère. Il team di Bergamo, che include oltre a D’Antiga anche la biologa Marina Ferrario e il pediatra Angelo Di Giorgio, ha condotto la fase clinica; la progettazione e la realizzazione del candidato farmaco, inclusi tutti i test pre-clinici che avevano permesso di testarne l’efficacia e la sicurezza, sono state invece sviluppate da Généthon. Fondamentale è stato anche il contributo dell’Associazione Ciami onlus, che da 30 anni sostiene i pazienti affetti dalla sindrome di Crigler-Najjar, ed è impegnata nel favorire la ricerca in questo campo.

L’interesse nel mondo scientifico su questa sperimentazione è dimostrato dal fatto che la precedente esposizione del 26 giugno all’International Liver Congress della Società Europea di Epatologia (EASL), sempre da parte di D’Antiga, è stata annoverata tra le migliori del congresso e inclusa nella selezione “Best of ILC”. Il gruppo di lavoro del Papa Giovanni di Bergamo continuerà la sperimentazione della terapia genica su altri malati, per completare il progetto che prevede in totale il trattamento di 17 pazienti. «Stiamo già lavorando su altre malattie rare del fegato – aggiunge D’Antiga -, e speriamo di poter offrire i vantaggi della terapia genica anche a pazienti affetti da altre patologie».

«Il nostro Ospedale è da sempre convinto che una attività clinica sempre aggiornata non possa che accompagnarsi ad una continua attività di ricerca – conclude il direttore sanitario Fabio Pezzoli -. Il Papa Giovanni, anche grazie ad una intensa attività clinica e di ricerca nel settore dei trapianti, è tra i centri di riferimento in Europa per la cura delle malattie epatiche nei bambini, comprese quelle rare, che hanno impatti devastanti sulla vita dei bambini e delle loro famiglie».

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