La sanatoria della vergogna

Badanti e colf in attesa da un anno, il permesso di soggiorno è un'odissea

In Bergamasca 4700 domande, per lo più nell'assistenza agli anziani, e le regolarizzazioni non ci sono ancora. Una burocrazia infinita

Badanti e colf in attesa da un anno, il permesso di soggiorno è un'odissea
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di Wainer Preda

Da una parte le pratiche burocratiche, con le loro richieste infinite e complicate. Dall’altra la vita reale, che non aspetta, con i suoi problemi talvolta drammatici. Vivono su questa dicotomia migliaia di migranti giunti in Bergamasca e da circa un anno in attesa di regolarizzazione. Fanno parte di quella schiera di duecentomila persone che ha aderito alla cosiddetta “sanatoria”, la procedura di emersione del lavoro nero, specifica per badanti e lavoratori agricoli, lanciata dal governo italiano nel maggio del 2020.

Nella nostra provincia sono state presentate quasi 4.700 richieste. Tutte finite sui tavoli dalla Prefettura che le deve analizzare una a una. Intanto queste persone dalle vite sospese, attendono. Sei mesi, qualcuno persino un anno. Perché le procedure vanno a rilento. Perché s’intrecciano alla richiesta di permessi di soggiorno. Perché si aggiungono ai ricongiungimenti familiari o alle richieste d’asilo, ai corsi d’italiano rimandati. In una giungla burocratica in cui è difficile districarsi.

I sindacati la scorsa settimana hanno denunciato pesanti ritardi su tutti i fronti. I dati aggiornati al 31 marzo scorso dicono che a otto mesi dalla chiusura della presentazione delle domande, in tutta Italia sono arrivate oltre 207mila richieste. Di queste ne sono state esaminate il 5 per cento. E solo lo 0,71 per cento ha concluso la procedura. Il ministero dell’Interno è corso ai ripari. Ha selezionato 800 interinali che lavoreranno all’accelerazione della pratiche. Molti di loro sono stati assunti. A Bergamo, spiegano dalla prefettura, ne sono arrivati 13 su 14. Per sei mesi si occuperanno di questa enorme matassa da districare, attraverso lo Sportello Unico dell’immigrazione.

Ma c’è una parola che spaventa: intanto. Perché in Italia spesso corrisponde a tempi biblici, durante i quali queste persone vivono sospese in un limbo di incertezza, di indecifrabile precarietà, che talvolta tocca l’angoscia. Immaginate di trovarvi in un Paese straniero, con una lingua incomprensibile, spesso con pochi soldi, e non sapere il giorno dopo cosa sarà di voi. Nell’attesa della regolarizzazione ai migranti che hanno fatto richiesta è stato concesso un codice fiscale provvisorio con la possibilità quindi di venire iscritti all’assistenza sanitaria e di avere (dopo mille peripezie burocratiche) un medico di base di riferimento. Per il resto, però, è notte fonda, soprattutto per quelle pratiche per cui la ricevuta della presentazione della domanda di emersione non è ritenuta sufficiente.

«È complicato essere un migrante e muoversi all’interno dello stato di iperburocratizzazione in cui ci troviamo - spiega un operatore che assiste queste persone e vuole l’anonimato -. Ci sono tanti ragazzi che sono in Italia da tempo e devono rifare i documenti: non le dico in che pasticci incorrono».

«Ho un ragazzo della Costa d’Avorio che a un certo punto scopre di essere un caso di omocodia - racconta un altro operatore - ovvero ha lo stesso codice fiscale di un altro ragazzo che vive nella zona di Firenze. All’impiegato di un Caf viene in mente di cambiargli il codice fiscale, facendo richiesta. Ebbene, il giovane tutto contento torna da noi. Solo che il cambio, invece di essere automatico per tutti i referenti dello Stato, deve essere comunicato ente per ente. Al Comune di residenza, all’Inps, alla Motorizzazione per la patente, alla Prefettura per il permesso di soggiorno, all’Agenzia delle entrate. Un’odissea dove a tutti andavano spiegati e “certificati” i motivi del cambio. Poi in tempo di Covid, fra uffici che non rispondevano e se rispondevano non sapevano come affrontare il problema, vi lascio immaginare». (...)

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