Carenza dei medici di base, Moratti: «Più ore di lavoro». La replica degli Ordini dei medici lombardi
Per i presidenti degli Ordini le dichiarazioni di Letizia Moratti «evidenziano scarsa conoscenza della realtà lavorativa e mettono in dubbio la professionalità e l’impegno dei medici»
Hanno sollevato un polverone tra i medici di base alcune dichiarazioni rese Letizia Moratti a margine della visita all’ospedale Papa Giovanni. L’assessore al Welfare e vicepresidente regionale non negando il problema rappresentato dalla carenza di medici di medicina generale, ha però sostenuto che si tratta di liberi professionisti e che la percezione di carenza non sarebbe dovuta al numero di medici ma dal numero di ore di lavoro. Tradotto: lavorassero di più ci sarebbero meno problemi.
Un’esternazione che ha suscitato non soltanto stupore, ma anche indignazione e amarezza tra i camici bianchi. Paola Pedrini, segretario generale della Fimmg Lombardia, in una lettera aperta ha invitato Letizia Moratti negli studi dei medici «per farle toccare con mano, senza tanti proclami ma con i fatti, il quotidiano impegno del nostro lavoro».
Dura anche la presa di posizione da parte dei presidenti degli Ordini provinciali dei medici della Lombardia, tra cui Guido Marinoni, che hanno definito improprie le dichiarazioni di Letizia Moratti. Anche perché «evidenziano scarsa conoscenza della realtà lavorativa della medicina di famiglia e mettono in dubbio la professionalità e l’impegno dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Le ricordiamo le decine di medici di famiglia morti nella nostra Regione per assistere i pazienti nella prima fase della pandemia, quando veniva loro negata persino la possibilità di acquistare le necessarie protezioni individuali». Un numero che, in proporzione, sarebbe superiore a quello di ogni altra categoria di medici.
La medicina del territorio starebbe quindi subendo le conseguenze legate a un «clamoroso errore di programmazione che determina un insufficiente ricambio generazionale» e, di conseguenza, non consente un’adeguata copertura delle zone carenti di medici. «Tale situazione obbliga i medici di famiglia – si legge nella lettera inviata al presidente Attilio Fontana e a Letizia Moratti – a un impegnativo e inaccettabile ampliamento del massimale degli assistiti».
L’orario di apertura degli ambulatori, inoltre, è «proporzionale al numero dei pazienti – prosegue la lettera -, è sancito dall’Acn (Accordo collettivo nazionale) ma di fatto sono numeri che non riflettono la reale tempistica del quotidiano lavoro della medicina territoriale, che non è fatta solo di visite ambulatoriali» Ma anche, evidenziano i presidenti degli Ordini, di visite domiciliari, attività sul territorio, attività burocratiche e contatti con i pazienti.
Per risolvere le criticità legate alla carenza di medici di base la proposta che arriva dagli Ordini è quella di potenziare la medicina del territorio integrandola con i nuovi indirizzi dettati dalla Missione 6 del Pnrr.
«Lei fa riferimento all’estero – concludono - ma all’estero nessun medico lavora senza il supporto diretto nel suo studio di infermiere e segretaria. Da noi gli infermieri del territorio sono allocati nei distretti ad “intercettare i bisogni”, mentre i medici di famiglia da sempre risolvono i problemi a mani nude. Lei parla di dipendenza, forse riferendosi al sistema portoghese, noi preferiamo parlare di professione riferendoci a Germania, Francia e Regno Unito. Lei parla di dipendenza senza sapere che, applicando le regole di tale rapporto di lavoro le servirebbe almeno il 30% in più di personale medico che non può creare dal nulla».