«Bentornato Dario». Un cartello colorato campeggia sull’ingresso di Palazzo Frizzoni. Davanti un centinaio di persone in attesa. Buona parte della giunta comunale. Tanti striscioni e poi gli applausi. Dario Crippa si è presentato questa sera 7 ottobre al presidio pro-Palestina, che si trova da 37 giorni sotto la sede del Comune, nel centro di Bergamo.
Il venticinquenne bergamasco – figlio dell’assessore comunale Marzia Marchesi e di Paolo Crippa – originario di Monterosso, è stato uno dei protagonisti della Flotilla verso Gaza. Rientrato ieri sera in Italia dopo un’espulsione coatta per via giudiziaria da parte di Israele, si è preso una giornata di riposo e quest’oggi nel tardo pomeriggio ha voluto incontrare militanti, compagni e amici dinanzi al municipio.
Il giovane ha raccontato la sua esperienza. «Sono stati giorni duri ma essere tornati a casa è molto bello. Siamo stati sequestrati in acque internazionali, a una cinquantina di miglia dalla costa palestinese. Quello che abbiamo subito è stato un vero e proprio sequestro da parte delle forze speciali israeliane. Tutto è cominciato intorno alle 9 della sera ed è andato avanti fino alle 7.30 della mattina dopo. La mia barca è stata intercettata intorno all’una di notte. Prima le motovedette israeliana ci hanno abbordato. Poi ci hanno legato e portato al porto di Ashdod, lasciandoci senz’acqua sotto il sole cocente per tutta la mattina».
«Abbiamo subito un trattamento inumano senza aver accesso ai nostri diritti o alle medicine, che sono state rubate in mezzo al mare. Siamo stati picchiati. Greta Thumberg è stata fatta oggetto di sputi. Io, come tanti, ho subìto calci da parte dei soldati per farci inginocchiare o sedere».
«Il ministero israeliano nel frattempo faceva dei video in cui mostrava di distribuire l’acqua, ma quando la telecamera veniva spenta, l’acqua non ci veniva più data. Ci hanno presi a male parole, con insulti in italiano. Nel frattempo ci hanno interrogato uno a uno. L’interrogatorio era condotto da uomini incappucciati delle forze speciali. Volevano farci firmare una dichiarazione di illegalità della nostra posizione, che ovviamente non ho firmato».
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«Legati e bendati – ha continuato Crippa – ci hanno messi su bus carcerari e portati in un carcere nel deserto del Neghev. Ci hanno tolto le felpe in modo da essere esposti all’aria condizionata, volutamente gelida. Dopo ore di viaggio siamo arrivati nel carcere di Ketziot. Qui non ci hanno dato nemmeno una goccia d’acqua. L’unica disponibile era quella di un rubinetto malsano con acqua caldissima che ha provocato diversi malori. Di notte, poi, arrivavano soldati con il Kalashnikov per trasferirci di cella in cella. Tutto questo però è poco rispetto a quello che nello stesso carcere subiscono i prigionieri palestinesi».
«Ringrazio tutti gli equipaggi di terra, i miei compagni di cella e tutti voi che avete acceso i riflettori mediatici sulla Flotilla. Se non fosse stato così non so come sarebbe finita. Ora vorrei che ci si dimenticasse di Dario Crippa, ma che si tenessero ancora gli occhi sul genocidio palestinese in corso dal 1948».
Subito dopo, l’intervento di Elena Carnevali. «Dario, dopo giorni di trepidazione, siamo orgogliosi e contenti di averti qui. Vogliamo mostrarti l’affetto e la stima della città per il tuo coraggio. Continueremo a lavorare per il cessate il fuoco, per la pace, per un popolo massacrato e per il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale ripetutamente violati. Allo stesso modo però condanniamo l’attentato del 7 ottobre» ha aggiunto la sindaca mentre alcuni attivisti intonavano “Free Free Palestine” andando sopra la sua voce.
Ripreso il microfono, Crippa ha concluso cantando un partecipato Bella ciao con i presenti. Pugno chiuso alzato, di rigore.