Il discorso

Ricordo delle vittime del Covid, Gori: «Non c'è stato il rilancio degli investimenti nella sanità pubblica»

Il primo cittadino ripercorre i momenti più drammatici della pandemia e fa proprio il motto degli Alpini: «Onoriamo i morti aiutando i vivi»

Ricordo delle vittime del Covid, Gori: «Non c'è stato il rilancio degli investimenti nella sanità pubblica»
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Un discorso che ha ricordato quanto accaduto a marzo 2020, la tragedia, le perdite di vite umane e la rinascita, ma anche affrontato le problematiche che ancora affliggono il Servizio sanitario nazionale. Alla commemorazione delle vittime della pandemia Covid, stamattina (lunedì 18 marzo) al Cimitero monumentale di Bergamo, il sindaco Giorgio Gori si è rivolto tra gli altri al commissario europeo, Paolo Gentiloni, il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, e all'assessore regionale al Welfare, Guido Bertolaso.

Il ricordo della pandemia

«Credo non potranno fare a meno di ricordare un’altra cerimonia svolta in questo luogo – sulla piazza antistante il cimitero – alla presenza del Presidente Mattarella. Era il 28 giugno del 2020 e nell’ascoltare il Requiem di Donizetti ognuno di noi pensava alle persone care che aveva perso, a quelle che non era riuscito a mettere in salvo. Nel dare loro l’ultimo saluto sapevamo però che le nostre città, i nostri paesi, sarebbero tornati a vivere, che avremmo lavorato per tornare a renderli luoghi sicuri, accoglienti e operosi. E così è stato».

Oggi pomeriggio, il primo cittadino andrà a deporre una corona di fiori al Bosco della Memoria, dedicato a tutti i bergamaschi morti a causa della pandemia. Proprio lì, a partire dal 2021, alla presenza del premier Draghi, del presidente della Camera Fico e poi dei ministri Crosetto e Schillaci, si è onorata la Giornata nazionale dedicata alle vittime del Covid.

Quest’anno, ha spiegato Gori, si è scelto di tornare al cimitero «perché ci è parso che quattro anni rappresentassero una distanza sufficiente per provare a raccontarne la storia». Ecco quindi che il sindaco ricorda le settimane della prima ondata, con il cimitero di Bergamo rimasto perlopiù chiuso. Il 7 marzo se ne decise la chiusura, poiché troppe persone, molte delle quali anziane, non rinunciavano a salutare i propri cari, con rischi di contagio. Si decise anche di utilizzare la camera mortuaria, per soccorrere quelle degli ospedali cittadini che già erano piene.

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I camion militari

«Improvvisamente - ha continuato Gori -, dalla normalità caratterizzata da quattro-cinque decessi al giorno, eravamo schizzati a trenta morti al giorno, solo in città. In una giornata arrivammo a contare ottanta morti. Le tumulazioni avvenivano al ritmo di una ogni mezz’ora. Il forno crematorio del cimitero, seppure a pieno regime, non riusciva a smaltire le tante richieste; le bare presero ad accumularsi». Il 9 marzo il Comune chiese quindi all’Ats l’autorizzazione per collocarle nella chiesa del cimitero. Divenne così una camera mortuaria, nella quale si collocarono i feretri in attesa dell’inumazione o della cremazione.

«La chiesa era ormai piena, ma le bare si moltiplicavano. Fu allora che pensammo di rivolgerci ai sindaci di altre città del Nord e del Centro Italia, chiedendo loro di poter utilizzare gli impianti di cremazione dei loro cimiteri. C’era però il problema del trasporto. Giacomo Angeloni, assessore ai servizi cimiteriali, pensò allora di rivolgersi al comandante dei carabinieri, mentre il prefetto contattava l’esercito».

La partenza del primo convoglio fu fissata per il 18 marzo. Si scelse di farlo la sera, dopo l’inizio del coprifuoco, per non allarmare i cittadini, dato che a quell’ora per le strade non ci sarebbe stato nessuno. «Per strada non c’era in effetti nessuno - ha raccontato il sindaco -, ma avevamo sottovalutato il rumore dei camion in movimento, che nella città completamente silenziosa dovette far pensare al rombo di un tuono. Fu così che il famoso steward di Ryanair uscì sul balcone e immortalò il corteo in quelle immagini, che hanno poi fatto il giro del mondo».

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La rinascita di Bergamo

Le ceneri di quei morti tornarono a Bergamo l’8 aprile, con ad accoglierle Gori, il vescovo Francesco Beschi, il comandante dei carabinieri e il nuovo prefetto, alla sua prima uscita pubblica. «Poco dopo entrammo nella chiesa del cimitero. C’erano ancora quasi cento bare. Noi restammo sull’uscio mentre il vescovo prese a camminare tra le casse, sfiorandole con la mano. Le benediceva e al tempo stesso era come se le accarezzasse. Nessuno poté trattenere le lacrime. Quell’immagine dunque porterò per sempre con me. Quella e un’altra immagine, che ne è l’esatto l’opposto. Sempre la chiesa del cimitero, ma questa volta completamente sgombra, ancora senza banchi, senza più neppure una cassa, vuota. Era il 18 aprile e per la prima volta pensammo che l’incubo stava forse per finire».

Da allora è passato diverso tempo. Nessuno ha dimenticato, ma Bergamo ha cercato di mettersi il prima possibile alle spalle tutto quel dolore. Gori ha ricordato la campagna vaccinale e l’Europa che con Sure, che anticipò il Next Generation Eu voluto da Gentiloni, evitò che il lockdown provocasse una catastrofe economica. «Poi Bergamo ci ha messo del suo, nel modo che più le è congegnale e più di ogni altro esprime l’identità profonda di questa città e di questo territorio: lavorando. I dati dello scorso trimestre – con la disoccupazione al 2,9 per cento, e la nostra provincia quarta in Italia per valore delle esportazioni -, ci dicono dove siamo, quattro anni dopo. Una spinta io credo sia venuta anche dalla designazione a Capitale Italiana della Cultura insieme a Brescia».

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I problemi della sanità pubblica

Il primo cittadino è quindi poi passato a commentare l'attuale situazione della sanità pubblica: «Nell’uscire dalla pandemia ci dicemmo che non avremmo più consentito che accadesse, di farsi trovare impreparati, senza una rete di cure territoriali, con pochi medici di medicina generale, posti di terapia intensiva negli ospedali. Ci dicemmo che avremmo riportato la salute dei cittadini al centro dell’azione pubblica, così da dare applicazione all'articolo 32 della Costituzione. L’abbiamo fatto? Non tanto, non abbastanza. Del resto, è dal 2010 che l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è andata riducendosi, con la sola eccezione del periodo del Covid, per finire ben sotto la media dei Paesi Ocse».

Il primo cittadino ha aggiunto che la spesa pro-capite della Germania è il doppio di quella italiana e qui da noi aumenta invece la spesa dei cittadini per curarsi nel privato, una modalità che tende però a ampliare le diseguaglianze, per cui troppe persone rinunciano a curarsi. Bisogna quindi «rilanciare la sanità pubblica. Conta l’organizzazione, ma contano anche gli investimenti». Per Gori, l’intera Europa «viaggia verso una situazione di progressiva insostenibilità dei sistemi di protezione sociale che abbiamo edificato a partire dal Dopoguerra. Ed è l’Europa, io credo, che dovrebbe assumere questo tema come una priorità almeno paragonabile alla crisi climatica».

Il sindaco ha poi concluso: «C’è un motto dell’Associazione Nazionale Alpini, creato da Nardo Caprioli quando ne era il presidente: “Onoriamo i morti aiutando i vivi”. A me pare si adatti perfettamente anche alla giornata di oggi. Onoreremo fino in fondo la memoria dei bergamaschi e degli italiani che sono caduti a causa della pandemia se e quando riaffermeremo, con i fatti, il valore insostituibile della salute pubblica e del Servizio sanitario nazionale».

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