Hakim, il campione italiano dell'Atletica Bergamo che però non è ancora italiano
Mezzofondista di 22 anni, da 14 è in Italia ed è cresciuto a Brembate Sopra. Ha vinto 10 titoli nazionali. A 18 anni ha presentato domanda, ma è stata respinta (per 300 euro)
Gli eccellenti risultati dell'Italia alle Olimpiadi, oltre ad aver accresciuto il prestigio del nostro Paese in ambito sportivo a livello mondiale, hanno riportato alla ribalta la questione della cittadinanza ai figli di immigrati. In particolare l'invito a riconsiderare la questione, specificamente nella misura dello ius soli, è venuta dal presidente del Coni Giovanni Malagò ed è stata immancabilmente accolta con l'entusiasmo di alcuni partiti e le critiche di altri. Il fatto però che quattro medaglie d'oro su dieci siano state vinte da italiani di seconda generazione è qualcosa che fa riflettere.
La questione ci tocca da vicino, perché anche dalle nostre parti ci sono atleti molto validi che non possiedono ancora la cittadinanza e sono costretti a gareggiare con lo status di «italiano equiparato». È il caso di Abdelhakim Elliasmine, 22 anni, in Italia da 14, cresciuto a Brembate Sopra, mezzofondista nell'Atletica Bergamo. Figlio di genitori marocchini regolari, ha il diploma di perito elettronico, parla il dialetto bergamasco, ma ciò che più conta in ambito sportivo è che si tratta di uno degli atleti più forti della sua categoria a livello continentale, con 1'46'' sugli 800 metri e dieci titoli nazionali portati a casa, senza contare i 6 argenti e i 7 bronzi. Un curriculum con pochi eguali.
«Non posso gareggiare nelle manifestazioni internazionali, non posso vestire la maglia azzurra e accettare la proposta di arruolamento fattami da un gruppo sportivo militare, che per me sarebbe una svolta decisiva - ha dichiarato Hakim al Corriere della Sera -. Le vittorie di Tamberi e Jacobs a Tokyo mi hanno emozionato. Resto fiducioso, la cosa che più fa male a me e a chi è nella mia situazione è non avere risposte certe, trovarsi sempre davanti a un muro di silenzio».
Già, perché la domanda per la cittadinanza, fatta dal padre quando il suo ragazzo aveva compiuto i 18 anni, è stata respinta perché dal reddito del genitore mancavano 300 euro necessari per raggiungere il minimo stabilito dalla legge. Nel novembre 2019 il presidente della Fidal, Alfio Giomi, ha chiesto per lui alla ministra Lamorgese la cittadinanza italiana per alti meriti sportivi, come consentito dall'art. 9 della legge 91/1992. Poi la cosa si è un po' persa per strada e si è venuti a conoscenza della ricezione della domanda solo grazie all'interessamento di alcuni deputati, tra i quali il leghista Daniele Belotti, anche se dal Ministero è arrivato comunque il suggerimento di ricorrere nuovamente alla pratica tradizionale, come a dire: «Probabilmente così non se ne farà niente, riprovate alla vecchia maniera».
Una vicenda sconfortante (e non vale solo per gli atleti), tenendo conto che queste sono giovani promesse che andrebbero coltivate: se non meritano loro la cittadinanza, allora chi ne può avere diritto?