Il caso Ryanair e la decisione della Corte Europea: tutto è nato da un'indagine dell'Inps di Bergamo
Una vicenda di mancati contributi versati dalla compagnia aerea irlandese allo Stato italiano che ha avuto inizio all'aeroporto di Orio
Ryanair deve pagare in Italia i contributi ai suoi dipendenti. E non in Irlanda, come aveva sempre fatto: è questa la sentenza definitiva della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (ne abbiamo dato notizia pochi giorni fa), che ha visto la compagnia irlandese al centro di un'annosa causa da quattro milioni di euro di mancati versamenti.
Una vicenda che si trascina da diversi anni e che ha avuto inizio proprio allo scalo bergamasco di Orio al Serio. «È stato un caso - ha spiegato a Corriere Bergamo (che ha riportato nel dettaglio l'accaduto) Enrico Dapoto, 68 anni di Dalmine e una vita lavorativa all'Inps -. Una collega ci ha segnalato che una dipendente ungherese di Ryanair aveva chiesto il modello A1 necessario agli stranieri residenti in Italia per avere assistenza sanitaria. Un modulo che possono chiedere i dipendenti di aziende italiane. Ci siamo detti: ma Ryanair è irlandese, perché lei ci chiede questo modulo?».
Da quel momento, l'Inps di Bergamo, affiancata dall'Inail, ha avviato tutte le verifiche del caso. E si è scoperto che l'Inps di Milano rilasciava regolarmente certificati di un'azienda che non era registrata come italiana, ma attraverso i quali i dipendenti potevano avere accesso al Sistema Sanitario Nazionale.
Dopo un'ispezione all'aeroporto di Orio, è emerso che Ryanair aveva fatto firmare i contratti di 219 dipendenti di stanza allo scalo (che lavoravano sia all'interno del locale destinato ad accogliere l'equipaggio che a bordo degli aeromobili) in Irlanda, dove venivano pagati anche contributi e tasse. «Tanto che abbiamo scoperto il caso di piloti che, presentando le dichiarazioni dei redditi in Irlanda, da noi risultavano tecnicamente nullatenenti e quindi incassavano i contributi comunali per i figli minorenni», ha aggiunto Dapoto.
Ryanair si è inizialmente giustificata spiegando che il luogo di lavoro dei suoi dipendenti sarebbero gli aerei, registrati in Irlanda. Posizione basata su una normativa del 1991, a cui però ne sono seguite altre legate invece alle basi di servizio del trasporto aereo. «Noi dicevamo: il personale parte da Bergamo e torna a Bergamo, quindi la base di servizio era in Italia - ha proseguito Dapoto -. Era gente che, anche se in parte straniera, viveva quasi tutta in Italia, usava le nostre scuole, i nostri ospedali e i nostri servizi».
Dopo una causa intentata da Inps e Inail, che richiedevano quattro milioni di contributi mai versati, la Corte Europea ha emesso il suo verdetto: i dipendenti della compagnia irlandese sono soggetti alla legislazione previdenziale italiana. Il tribunale di Lussemburgo ora ha rinviato la vicenda alla Giustizia italiana, che esprimerà la sentenza definitiva. Ancora nessun commento da Ryanair.