Il commento

Il segretario dei medici di base bergamaschi: «Lavoriamo poco e male? Basta insinuazioni»

Il segretario provinciale Ivan Carrara lancia l'allarme sui carichi di lavoro eccessivi e la troppa burocrazia, criticando le Case della Comunità

Il segretario dei medici di base bergamaschi: «Lavoriamo poco e male? Basta insinuazioni»
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In questi giorni diverse sono state le dichiarazioni di politici, opinionisti e medici ospedalieri, che hanno espresso la loro visione sulla medicina del territorio. Le criticità sono sotto gli occhi di tutti e la situazione della continuità assistenziale in Bergamasca è critica. «Quello che riteniamo del tutto inaccettabile - ha commentato il segretario generale di Federazione italiana medici di medicina generale Bergamo, Ivan Carrara -, soprattutto dopo gli anni della pandemia e i sacrifici che abbiamo dovuto affrontare è l’insinuazione, talvolta malcelata, circa il fatto che i medici di medicina generale lavorino poco oltre che, a quanto pare, male».

Maggior carico di lavoro e troppa burocrazia

Carrara ha poi sottolineato come la maggioranza dei colleghi lavora mediamente dalle dieci alle dodici ore al giorno, distribuendo l’attività tra visite ambulatoriali programmate e domiciliari, prestazioni non differibili e incombenze burocratiche. «I dati dimostrano che negli ultimi anni il carico di lavoro è diventato sempre maggiore e molti medici di famiglia hanno deciso di abbandonare precocemente la professione, a causa delle enormi pressioni a cui sono quotidianamente sottoposti, con ripercussioni non indifferenti sulla sfera psicologica e familiare».

Per la categoria, confrontare i numeri della medicina generale con il resto d’Europa è utile, ma vanno anche analizzati i modelli organizzativi degli altri Paesi e la loro diffusione territoriale. «Assistere più di 1.500 o 2.000 pazienti, senza un importante snellimento della burocrazia ed un supporto amministrativo ed infermieristico di dodici ore, è di fatto impensabile - ha continuato il segretario -. Inoltre, per valutare il numero dei medici è necessario tener conto dei professionisti effettivamente in attività, perché quelli in pensione è difficile che si disiscrivano dall’Ordine».

La critica alle Case della Comunità

Secondo il rappresentante dei medici di base, «il modello non può essere quello di raggruppare tutti i medici nelle case della comunità, decretando la fine della prossimità dell'assistenza e passando ad un sistema di dipendenza. Questo tema continua ad essere riproposto da chi non ha mai lavorato sul territorio e non lo conosce.

Ci vorrebbero investimenti enormi e un aumento improponibile del numero di medici». Di conseguenza, la conclusione di Carrara è che «ci troviamo di fronte a due pericolose utopie: pensare di gestire il territorio come se fosse un reparto ospedaliero, senza conoscere le sue dinamiche, e credere di poter cambiare un sistema senza ascoltarne gli attori».

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