La proposta: «L'Università di Bergamo apra un corso di laurea in Gerontologia»
La neuropsichiatra Emilia Strologo lancia l’idea di un percorso di studi per affrontare nel concreto il grande tema dell’invecchiamento della popolazione

«Lo sa quante persone con più di ottant’anni abitavano a Bergamo nel 1987? Esattamente 4.025. E sa quante erano al primo gennaio di quest’anno? 10.868. Insomma, in trentotto anni sono molto più che raddoppiate».
Emilia Strologo, pioniera della psicologia a Bergamo e già responsabile dell’unità operativa di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale, ha oltrepassato la soglia dei novant’anni. Anche per questa ragione è interessata al tema degli anziani, ma soprattutto a come la nostra società possa affrontare il cambiamento sociale e demografico dato dall’invecchiamento della popolazione.
Dottoressa Strologo, lei non rinuncia a indagare la realtà, a porsi domande. Questo tema dell’invecchiamento è essenziale per il futuro.
«Infatti lo è in tutto il mondo occidentale, in Italia e a Bergamo in particolare. A mio avviso è urgentissimo affrontare l’argomento in modo profondo e attento».
In realtà il progressivo invecchiamento sembra inevitabile.
«Il problema non è evitare l’invecchiamento della popolazione: vivere più a lungo è un fatto positivo! Quello che è necessario fare è cercare di capire come avere una popolazione anziana che resti comunque il più a lungo possibile attiva, capace di rinnovarsi, di vivere bene, di aiutare gli altri. Vede, secondo le proiezioni Istat gli anziani a breve rappresenteranno il quaranta per cento della popolazione italiana (a Bergamo città già oggi siamo al trentatré per cento di cittadini sopra i sessant’anni). L’aumento delle prospettive di vita rappresenta una conquista e un’opportunità, ma impone una nuova organizzazione economica, sociale, delle strutture».

È evidente.
«Sì, ma che cosa si sta facendo a livello strategico? Credo ancora molto poco. La crescita della popolazione anziana sta incidendo in modo pesante sulla sostenibilità dei metodi di assistenza, di welfare dello Stato. Come potrà una popolazione costituita soprattutto da vecchi sostenere le sfide dello sviluppo, mantenere un tasso di crescita e di benessere soddisfacente? Oggi i bilanci degli Stati, come quelli delle famiglie, sono in difficoltà. Finora il “welfare” si è affidato moltissimo alle famiglie e al volontariato (pensi che in Italia abbiamo sette milioni e mezzo di volontari). L’impressione è che questo modello nel lungo periodo diventi insostenibile. Anche perché cambierà la composizione delle famiglie che pure diventano progressivamente sempre più anziane».
Dobbiamo studiare nuovi modelli di intervento, nuovi obiettivi, piani strategici?
«Esatto. E su diversi livelli: economico, sociale, sanitario, abitativo, occupazionale, relazionale... Io penso che questa problematica vada analizzata in profondità e credo che questo compito spetti soprattutto alle Università, che dovrebbero rappresentare il luogo più alto del nostro sapere. Oggi il problema vero è studiare strategie per mantenere gli anziani in salute e attività il più a lungo possibile. Per il mantenimento della società questo è decisivo».
Che cosa propone, dottoressa?
«Propongo la creazione di un percorso di laurea in Gerontologia, con particolare attenzione alla Geragogia (...)