La tempesta sull'Accademia Carrara investe anche la sindaca Elena Carnevali
Le dimissioni della direttrice hanno messo in luce le criticità della Fondazione (personalizzata da Gori) e i fragili equilibri della Giunta

di Andrea Rossetti
Il 4 novembre, in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, la sindaca Elena Carnevali ha detto: «Bergamo, forte della sua storia di città solidale, non può che ribadire la propria vocazione per la pace e il dialogo». Valori alti che poco si confanno, però, al clima che si respira da una decina di giorni dalle parti di Palazzo Frizzoni e Accademia Carrara. Le dimissioni della direttrice Martina Bagnoli hanno infatti scoperchiato un vaso di Pandora che riguarda la prima istituzione museale della città, ma anche i fragili equilibri della Giunta insediatasi appena cinque mesi fa.
Sebbene la pinacoteca sia guidata da un ente privato, ovvero l’omonima Fondazione, alla presidenza di questa c’è proprio la sindaca. E il Comune ci mette ogni anno tanti soldi (nel 2023 circa 870 mila euro, in linea con gli stanziamenti precedenti). Non si può quindi considerare la Fondazione come un’entità a sé stante e ciò che accade si ripercuote anche a Palazzo Frizzoni. Il turbolento addio di Bagnoli alla guida della Carrara ha così svelato debolezze intrinseche a entrambi i mondi. Debolezze che lasciano perplessi e preoccupano.
Cosa non ha funzionato
La Fondazione Accademia Carrara è stata istituita nel 2015, a ridosso della riapertura della pinacoteca dopo i lunghi e travagliati lavori di ristrutturazione del museo. L’ente è descritto come un esempio di «responsabilità condivisa. Pubblico e privato insieme nella gestione della raffinata bellezza raccolta nelle collezioni». Suo primo sostenitore era ed è l’ex sindaco Giorgio Gori, che in dieci anni di mandato ha ampiamente dimostrato di essere tra i primi sostenitori di questa “alleanza”. Che spesso e in tanti progetti ha funzionato, ma che in quel della Carrara, invece, ha sin da subito mostrato molte criticità. Per vari motivi.

In primis, la formazione del suo Consiglio di amministrazione, composto da esponenti dei cosiddetti «soci cofondatori», ovvero Humanitas Gavazzeni, Metano Nord, Alfaparf Group, Confartigianato Imprese Bergamo, PwC. Realtà che hanno investito (tanto) nel museo, guadagnandosi così l’onore e l’onere di poter prendere decisioni per lo stesso. Il vulnus è chiaro, però: nessun consigliere è di chiara matrice culturale. A dominare è il livello meramente economico.
A vestire i panni di garante del bene pubblico ci dovrebbe essere il sindaco, presidente del Cda. Molto - se non tutto - passa da lui. E negli anni di Gori la cosa è stata ben chiara: è stato lui a dare sempre più spazio alla figura del responsabile operativo, rivestita da Gianpietro Bonaldi, fino a nominarlo (nel febbraio 2023) general manager, ruolo in tutto e per tutto allineato, anche contrattualmente, al livello del direttore. In sostanza, Gori è stato il creatore del cosiddetto “modello duale” oggi tanto criticato. In quella occasione, Bonaldi dichiarò (...)