L'Accademia della Guardia di Finanza: in punta di piedi nel luogo sacro dei bergamaschi
Il generale Kalenda: «È una caserma, ma vorremmo che la gente non la considerasse solo come tale, bensì una parte viva della città»
di Wainer Preda
“Qui c’era il padiglione maternità” riporta una locandina davanti a un edificio rimesso a nuovo, pulito e scintillante. Accanto, il nuovo nome e la nuova assegnazione. È il presente che racconta anche il passato. Largo Barozzi, quartiere Santa Lucia. Una volta, Ospedale Maggiore di Bergamo. Oggi, nuova sede dell’Accademia della Guardia di finanza. Nella palazzina Comando, la Casa Rossa dalla quale un tempo si governava una struttura sanitaria che assisteva 1200 persone, il nuovo comandante si presenta alla stampa.
È un generale di brigata. Si chiama Paolo Kalenda, con la "K" che viene dalla Grecia. Ha 54 anni, è romano. Ma per lui Bergamo è la seconda casa. Nella sua lunga carriera militare ci è venuto quattro volte: una da allievo, due da ufficiale e ora da comandante. Ma ci è tornato spesso anche quando era di stanza a Milano. Nei fine settimana, veniva a passare qualche ora di tranquillità con la famiglia in Città Alta o al parco di Treviolo, che adora.
Certo i bergamaschi li conosce bene. Sa che con la terra che guarda le montagne si entra in rapporto solo con tatto e discrezione, se vuoi essere dei nostri. Lui lo ha capito. Ha una miriade di decorazioni sulla divisa, ma anche un’apprezzabile sensibilità il comandante Kalenda. La sua Accademia entra in punta di piedi in luogo che per la nostra gente ha un significato profondo. Vita, morte, gioie, dolori, sofferenza, nascita e rinascita. Quante storie custodiscono queste mura. E quante ne potrebbe raccontare ogni bergamasco. Ogni edificio è un ricordo, ogni finestra era una speranza.
C’è l’immenso piazzale sui cui transitavano ambulanze e carrozzelle, lettighe e barelle. Ci sono le aiuole che raccolgono le foglie d’autunno come una volta la speme e le lacrime. C’è quella grande fontana al centro, un tempo meta di sigarette consumate in fretta, telefonate ai cari e tanti pianti, di gioia o di disperazione. Ci sono i padiglioni con quei lunghissimi corridoi in cui facevano la spola infermieri e dottori, parenti e amici in ansia, sperando in una buona notizia. C’è ancora la chiesetta delle suore, intatta. Con quel grande Cristo su sfondo rosso, meta di pellegrinaggi infiniti, alla ricerca di un silenzio che parla e ti arriva dritto nell’anima. Anche in quella di chi non credeva, ma affidava le sue preghiere al Signore, per un po’ di conforto. È poi c’è quell’incredibile vista su Città Alta. Bella come la vita. Lì che ti guardava, come a dire “forza, resisti, che ti aspetto”.
È grande quanto un quartiere la nuova sede della Guardia di Finanza. Centoquarantamila metri quadrati. Quindici edifici tirati a lucido, ognuno dedicato a un militare caduto in servizio. Della precedente struttura ne sono stati demoliti tre, in condizioni precarie. Dal nuovo perimetro, sono esclusi solo la chiesetta dei frati e l’ex obitorio. Il resto è tutto rimodernato, rimesso a nuovo. Alloggi e aule per per ospitare ogni giorno 700 persone, compresi 460 allievi, futuri ufficiali delle Fiamme Gialle. Per loro sono stati ricavati 525 posti letto, 28 appartamenti per gli ufficiali, 23 aule didattiche, una biblioteca e salette di lettura. E poi una mensa con cucina che sforna quasi mille pasti al giorno.
Operativamente, qui sono state concentrate anche le attività della vecchia Accademia e della caserma di Roma. Uno sforzo organizzativo titanico. Ma meglio una struttura unica, dice la razionalizzazione dei costi. L’investimento è stato di 150 milioni. La Guardia di finanza lo ripagherà con l’affitto, più obbligo di riscatto fra 24 anni. Il mese scorso qui c’è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ha inaugurato quella che il comandante chiama “la Cittadella del diritto”. Questa immensa struttura che punta a incrementare e sviluppare la collaborazione didattica, già forte, con l’Università di Bergamo.
«È una sede adeguata e ambiziosa» dice Kalenda. Poi aggiunge: «Vorrei che i bergamaschi non la considerassero solo una caserma. Lo è strutturalmente, è fuor di dubbio. Ma nella nostra concezione vorremmo che diventasse una parte viva della città». Aperta alla gente, alle famiglie, ai bambini. Tanto che si stanno programmando visite guidate. E una convenzione con il Comune per l’utilizzo delle attrezzature sportive da parte delle associazioni. «Cercheremo di essere generosi», dice il comandante «e al di là dei nostri appuntamenti istituzionali, aprire ai cittadini 7 giorni su 7». Magari con qualche evento speciale. Lo spazio c’è. È un auditorium da 500 posti, nuovo di zecca. Sul suo widiwall, uno dei più grandi d’Europa, scorrono un filmato che ripercorre la storia del Corpo e le immagini degli ultimi anni. I più difficili. I più amari. Quelli che chiedono a tutti resilienza, spirito d’unione e voglia di rinascita. Si commuove il comandante Kalenda, guardando i suoi cadetti che giurano con la mascherina alla bocca, in una città bellissima ma spettrale. Poi ci porta alle strutture sportive. Un campo da calcio con tanto di pista e tribuna da 540 posti. Una piscina coperta. Una palestra immensa. Altre tre più piccole.
E poi il circolo ufficiali. Quello dei ricevimenti per gli ospiti. Elegante e ricercato. L’hanno ricavato dove un tempo c’era la radiologia. Oggi l’ingresso è con scale in marmo e ringhiere in ferro battuto, splendenti, anticipate da lapidi al valor militare. Le sale sono sobrie, come gli arredi. I tendaggi in seta, i colori sfumati. Perché Bergamo, si sa, non ama lo sfarzo pacchiano e l’ostentazione, soprattutto nei luoghi che ama.
Tutto è stato ridipinto. Ma il velo di nuovo non impedisce alla memoria di catturare le immagini del passato. Spuntano dai muri, dalle finestre, dai corridoi. Si materializzano davanti agli occhi nonostante tutto, o quasi, sia cambiato. È l’illusione dei ricordi. Anche se dove c’erano i camici dei medici ora ci sono le verdi uniformi della Guardia di finanza e una grande lapide, dedicata al sottotenente Giorgio Maria Barbarisi, medaglia alla memoria.