L'anno del Covid ha fatto chiudere anche il bar Mignon di via Verdi. Peccato
La prima mazzata era arrivata con la corsia preferenziale, poi il lockdown, gli aiuti col contagocce, lo smart working in una zona di uffici e adesso pure i lavori in corso
di Wainer Preda
«La cosa più dura è stata dover dire a nostro figlio che papà e mamma fra poco saranno senza lavoro». Mentre racconta gli vengono gli occhi lucidi. Perché restare senza lavoro a 45 anni oggigiorno è un dramma. Anche se hai una forza d’animo incrollabile. Anche se sei nell’opulenta Bergamo, la città che offre più possibilità delle altre.
Alex Bortolotti e la moglie Caterina sono i titolari del bar Mignon di via Verdi. Entrambi vengono dalla ristorazione. Prima come dipendenti, poi in società. Sei anni fa hanno deciso di provare l’esperienza del bar. Hanno ritirato la licenza del Mignon, uno spazio piuttosto ampio, tre gradini lungo il marciapiedi di una delle arterie principali che tagliano la città e una vetrina affacciata sulla via. «L’abbiamo ritirato dal precedente titolare - racconta Alex -. Lavorava poco e lo abbiamo rilanciato benissimo. Le cose sono andate bene per diversi anni. L’affitto era buono. E nel tempo abbiamo potuto fare anche due allestimenti, perché tenevamo molto ad avere una struttura sempre fresca e al passo con i tempi».
Per cinque anni il Bar Mignon prospera, i clienti crescono. «Questa è una zona di uffici, in più ci sono i residenti. Nell’arco di poco siamo rimasti l’unico bar della via. Lungo questo fronte ci sono poche altre attività. Molte persone hanno cominciato a venire qui da noi, per la pausa caffè, la pausa pranzo». Alex e Caterina ci sanno fare. Hanno modi garbati e cortesi. «Abbiamo fatto anche feste di compleanno, cresime, comunioni. Insomma da clienti sono diventati amici. Per tutti siamo diventati Alex e Caterina. Andava bene. Lavoravamo dal lunedì al venerdì per 13 ore al giorno, poi...».
Poi lo scorso anno arriva il coronavirus ed è una mazzata tremenda. «Nel lockdown abbiamo tenuto chiuso ed entrambi siamo rimasti a casa. Ovviamente senza guadagnare una lira. Poi quando la stretta si è allentata, io ho ripreso a lavorare. Avevo paura del virus, ma dovevo farlo. Altrimenti non mangiavamo». Gli aiuti del governo? «Mi vien da ridere: solo briciole. In un anno e mezzo abbiamo preso tre bonus da 600 euro e uno da 1900. L’ultimo non l’abbiamo nemmeno ricevuto perché è andato in tasse. Ho partecipato al bando Raffaello del Comune per 1500 euro, ma anche lì è andato per le spese del bar».
Nelle parole di Alex però non c’è rancore, solo amarezza. Anche perché dopo il Covid, arrivano i problemi della strada. «Già la corsia preferenziale degli autobus lungo via Verdi ci aveva penalizzato tantissimo - spiega -. I clienti prima si fermavano al volo per un minuto, facevano colazione e ripartivano. Poi abbiamo chiesto mille volte un punto di carico e scarico e il Comune non ce l’ha mai dato. Infine i lavori qui di fronte. Non si lavora più». ll proprietario delle mura ha deciso di vendere. «Lo ha proposto anche a noi, ma non siamo in grado. Purtroppo non ce la facciamo più. Ho tirato la cinghia fino alla fine, ma non c’è verso. Negli ultimi giorni abbiamo avvisato tutti che chiudiamo. La clientela è dispiaciuta. Lo siamo anche noi. Tantissimo. Questa era diventata la nostra seconda casa».
«Ora sto valutando altre opportunità di lavoro - spiega Alex -. Va bene qualsiasi lavoro, non ho paura di lavorare. Mi sto reinventando dopo una vita di sacrifici. E d’altronde non possiamo fare altrimenti. Ho un figlio di 22 anni che per fortuna lavora in un altro settore. In passato mi ha dato una mano lavorando anche al bar: lo vedeva come opportunità per il suo futuro. Quando gli abbiamo detto che chiudevamo, ha capito la situazione ed è stato lui a dire: mamma e papà se avete bisogno io ci sono. Mi è venuta la pelle d’oca».