Riforma regionale: il Papa Giovanni rischia la Serie B e primari e medici si ribellano
Privilegiati gli ospedali milanesi, ma nelle graduatorie Bergamo è settima in Italia. «Incredibile che dopo l'anno del Covid si venga trattati in questo modo»
di Paolo Aresi
C’è un passaggio, nella proposta di legge regionale per cambiare l’organizzazione della sanità in Lombardia, che ha fatto saltare sulla sedia primari e medici dell’ospedale di Bergamo, del Papa Giovanni. È un passaggio dell’articolo 8. Dice la relazione illustrativa della legge in discussione in questi giorni: «Nell'ambito di un piano di riordino complessivo della rete d’offerta del territorio della città metropolitana di Milano si prevede che la Regione, entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della nuova legge, istituisca nuove aziende ospedaliere (AO) e che, entro i trentasei mesi successivi valuti l’istituzione di nuove aziende ospedaliere sul resto del territorio lombardo».
Attenzione alle parole
Che cosa c’è di tanto grave in queste cinque righe? Bisogna leggerle con attenzione, considerando che oggi, in Lombardia, gli ospedali sono delle Asst, cioè delle Aziende socio sanitarie territoriali. Dal 2015. Prima erano semplicemente delle Ao, cioè delle Aziende ospedaliere. Qual è la differenza? L’azienda ospedaliera è l’ospedale, in senso classico, uno o più edifici, reparti, servizi, laboratori, ricerca. Diventando Asst, in pratica agli ospedali sono state date in carico delle funzioni sul territorio che prima erano soprattutto in capo alle Asl, oggi diventate Ats. Ai medici ospedalieri questa riforma non è mai piaciuta, soprattutto perché, come spesso capita, agli ospedali sono stati attribuiti compiti nuovi senza però fornirli delle risorse economiche e di personale necessarie. Così si sono spesso sentiti commenti del tipo: «Fate fare agli ospedali il loro mestiere, che già non è semplice».
A Milano, solo a Milano
Adesso arriva questa proposta di legge e gli ospedalieri sussultano. Infatti si legge che, nel giro di due anni dall'approvazione, a Milano verranno istituite nuove aziende ospedaliere e che soltanto poi, nei trentasei mesi successivi, si valuterà l’istituzione di nuove aziende ospedaliere sul resto del territorio lombardo. Quel discorso della valutazione non convince per nulla. Dicono gli ospedalieri: ma perché a Milano si fanno di nuovo le aziende ospedaliere e nel resto della Lombardia no? E perché si valuterà fra due anni se eventualmente istituirle?
Gli ospedali candidati a tornare Azienda ospedaliera sono quelli che rispondono a determinati caratteri di dimensioni e di qualità. Nella città di Milano dovrebbero essere l’ospedale di Niguarda e il Policlinico. Per quanto concerne gli ospedali al di fuori di Milano, ci sarebbero il Papa Giovanni di Bergamo, gli Spedali Civili di Brescia, il San Matteo di Pavia e forse l’ospedale di Como.
C’è chi rassicura, ma...
Affermano tuttavia alcuni politici bergamaschi che la questione dovrebbe rientrare e che questo punto della legge verrà cambiato in sede di commissione sanitaria. Infatti la proposta di legge deve passare attraverso la commissione in agosto e settembre e la commissione dovrà dare la sua approvazione per consentire alla legge di arrivare in Consiglio regionale. Secondo i bene informati questo passaggio della legge non piace nemmeno alla Lega, che pure tiene il timone del governo regionale. Questa visione Milanocentrica non è condivisa pare da nessuna forza politica, tanto meno da quelle bergamasche. Ma il timore è che si tratti soltanto di parole e che, al momento decisivo, il fronte politico compatto possa squagliarsi in nome di più alti e grandi interessi. Quali?
I medici non ci stanno
I medici ospedalieri bergamaschi dovrebbero uscire con un loro documento nei prossimi giorni perché, affermano, questa divisione di fatto produrrebbe degli ospedali di serie A ed ospedali di serie B. E il Papa Giovanni di finire in serie B proprio non ha voglia. Bisogna considerare che le classifiche internazionali lo pongono al settimo o all'ottavo posto tra gli ospedali italiani, secondo in Lombardia. Il comportamento della nostra struttura durante la pandemia, poi, è stato esemplare per tutto il mondo.
Un medico ha detto: «Il Papa Giovanni alla vigilia del Covid era tra i migliori ospedali d’Italia, nonostante l’enorme fatica dovuta alla cronica mancanza di personale, di medici, di infermieri. Addirittura d’estate siamo costretti a chiudere le sale operatorie per mancanza di chirurghi. Poi con la pandemia abbiamo resistito, abbiamo dimostrato il famoso “tener duro” e pure la famosa “resilienza”, non solo resistere, ma anche risollevarsi. È stato un impegno incredibile. Ecco, se questa proposta rappresenta il riconoscimento del nostro impegno e della nostra eccellenza... non c’è nulla da commentare. Il fatto è che al Papa Giovanni, pure in condizioni molto precarie, durante la situazione di emergenza non soltanto abbiamo accolto e curato quante più persone fosse possibile (e impossibile), ma abbiamo fatto anche ricerca e abbiamo scoperto cose fondamentali per la cura del coronavirus Covid-19. Allora io penso che il problema è riconoscere tutto questo e porre il Papa Giovanni, ma anche altri ospedali, di nuovo nella condizione di potere rendere al massimo. Bisogna fare in modo da investire di più nella sanità pubblica, servono norme che non ci penalizzino rispetto al privato».