La piazza degli immigrati

Rischio ghetto: il mercato di via Spino è diventato una casbah

Molti clienti bergamaschi sono spariti. Gli ambulanti storici che si sono trasferiti dalla Malpensata chiedono al Comune di «mettersi una mano sul cuore»

Rischio ghetto: il mercato di via Spino è diventato una casbah
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di Angela Clerici

«L’amministrazione comunale deve mettersi una mano sul cuore e ragionare su questo trasloco. Rispetto alla Malpensata si è creata una situazione diversa, là avevamo ancora tanti clienti italiani, adesso sono nettamente diminuiti. È un dato di fatto. C’è tanta gente che viene qui in via Spino, è vero, ma sono soprattutto migranti. Niente di male, per carità. Ma un certo tipo di bancarella è rimasta tagliata fuori». La signora delle magliette della Nasa è molto preoccupata. Il suo è un articolo di un certo livello, piuttosto distante da quello che va forte al mercato di via Spino. Continua la signora Amaranto: «Il nostro articolo va bene allo stadio, al mercato del sabato, quello è davvero un signor mercato, il migliore. Poi ce ne sono altri, per carità. Ma questo della città di Bergamo è diventato un problema, peccato».

È vero, il mercato di via Spino in questo lunedì mattina di sole è invaso di persone. Sono soprattutto immigrati, soprattutto donne, tante giovani. Prendono di mira in particolare le bancarelle dell’usato, tutte gestite da persone che hanno raggiunto il nostro Paese da luoghi lontani, in particolare dal Nord Africa. Dice Mohammed, uno di questi ambulanti: «Noi in via Spino ci troviamo bene, abbiamo tanto spazio. Con il Covid abbiamo avuto problemi, come tutti, ma se escludiamo la malattia devo dire che lavoriamo bene. Anche alla Malpensata il lavoro era buono. Negli ultimi cinque anni il mercato dell’usato per i vestiti è diventato sempre più importante». I prezzi sono molto bassi, anche se per qualche tipo di capo si può salire anche a venti euro, ma in generale ci si muove sui tre, cinque euro. Anche meno. Le ragazze di colore affollano le bancarelle, guardano gonne e pantaloni, commentano fra di loro, ridono. Il mercato è un momento di festa.

Isaia, il decano

L’abbigliamento resta il settore più rappresentato, si va dall’intimo alle magliette, alle camicie, pantaloni, felpe. Ci sono bancarelle specializzate, come quella della famiglia Finazzi di Chiuduno. Dice il titolare: «Dico la verità, pensavo peggio. Invece i nostri articoli di merceria funzionano abbastanza bene, vendiamo di tutto, cerniere, bottoni, spille, filo... Però l’umore generale del mercato è negativo. Certo, noi ambulanti tendiamo sempre a lamentarci, però è vero che qui in via Spino per molti è dura; per esempio la iognora dei polli arrosto e delle patatine ha perso tutti gli studenti, più della metà della sua clientela. La clientela si è un po’ modificata, direi che l’ottanta per cento è formato da gente che proviene dal di fuori dell’Unione Europea».

Isaia Vassalli è un ambulante di lungo corso: ha cominciato a lavorare al mercato di Bergamo quando si trovava ancora in via Guglielmo d’Alzano e in via Paglia, nel 1956. Occhiali da sole e faccia abbronzata, Isaia porta molto bene i suoi anni. Racconta: «Altro che se la clientela è cambiata dalla Malpensata a qua! Noi facciamo fatica. Poi ci si è messo anche il Covid. Certo, il mercato una volta era molto diverso, ma era il mondo che era diverso. Mi ricordo il Tassetti che, ai tempi, faceva l’ambulante con il suo camioncino grigio, me lo ricordo a Petosino, dove sono nato. Io lavoravo dal Taschini, da ragazzo, poi ho deciso di fare l’ambulante, è un modo di vivere. Ogni giorno arrivi in un posto, sole e pioggia, non importa. Monti la tua baracca e via. Gente che passa, che conosci, altri che non hai mai visto. È una vita così. Quando il mercato era in centro a Bergamo andavamo a mangiare alla trattoria America di via D’Alzano, al tempo la gestiva la famiglia che adesso tiene il ristorante La Ciotola, in viale Papa Giovanni, brava gente».

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