Sfida dell'Isis: «Sulla Casa Bianca sventolerà la bandiera di Allah»
Da venerdì 8 agosto caccia americani stanno bombardando alcune postazioni dell’Isis in Iraq. Lo ha reso noto il Pentagono, spiegando che gli aerei americani hanno attaccato truppe di artiglieria islamica vicino a Erbil. La minaccia di Obama all’Isis è diventata quindi realtà. Il presidente americano aveva autorizzato giovedì un intervento militare mirato e l’invio di aerei con aiuti umanitari per aiutare gli sfollati che stanno fuggendo nel Kurdistan. «Gli aerei militari americani - ha scritto venerdì su twitter il portavoce del Pentagono, l’ammiraglio John Kirby - hanno lanciato dei raid contro l’artiglieria dello Stato islamico, utilizzata contro le forze curde che difendono Erbil, vicino al personale americano». Sabato mattina i jet Usa hanno effettuato un’altra serie di raid. I caccia bombardieri si sono levati in volo dalla portaerei George H. W. Bush che staziona nel Golfo Persico. Il Pentagono ha spiegato che nei raid sono stati «eliminati terroristi».
«Come comandante in capo non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un’altra guerra in Iraq», aveva detto Obama nel discorso settimanale. «Gli Stati Uniti non possono e non devono intervenire ogni volta che c’è una crisi, ma quando innocenti si trovano ad affrontare un massacro e noi abbiamo la possibilità di prevenirlo, gli Stati Uniti non possono guardare da un’altra parte». La risposta dei miliziani dello Stato islamico non si è fatta attendere. In un video pubblicato da "Vice", Abu Mosa, portavoce dell’Isis, ha apertamente sfidato gli Usa: «Se siete uomini, non attaccateci con i droni. Mandate qui i vostri uomini, quelli che già abbiamo umiliato in Iraq». Isseremo la bandiera di Allah sulla Casa Bianca», ha concluso Mosa.
Quella in corso è la prima offensiva americana dopo il ritiro delle truppe nel 2011 e la crisi di queste ultime settimane rappresenta la più grande minaccia alla stabilità del Paese da quando le truppe statunitensi si sono ritirate. Francia e Inghilterra hanno annunciato di essere pronte a unirsi alle operazioni.
L'esodo dei cristiani. Negli ultimi giorni, nel Nord Est dell'Iraq oltre centomila persone sono fuggite abbandonando le loro case e tutto quel che avevano. Sono soprattutto cristiani, che sotto la minaccia delle armi hanno dovuto lasciare le città della Piana di Ninive. Nella mattinata di venerdì tonnellate di aiuti umanitari sono state lanciate dagli aerei americani anche sul monte Sinjar, dove circa 40mila membri della comunità religiosa degli Yazidi sono intrappolati nel tentativo sfuggire all’avanzata degli islamisti dell’Isis.
Giovedì 7 agosto Papa Francesco aveva ribadito la sua preoccupazione per le migliaia di cristiani fuggiti dall’Iraq. Venerdì 8 la Sala stampa della Santa Sede ha reso noto che il Papa ha nominato il cardinale Fernando Filoni, prefetto dell'ex Propaganda Fide, "suo Inviato personale per esprimere la Sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa". Già nunzio in Giordania e Iraq, il cardinale Filoni dal 2001 al 2006, nel pieno della guerra irachena, è stato l'unico rappresentante diplomatico rimasto in Iraq. Non è ancora stato diffuso il programma ufficiale della missione del cardinale Filoni, ma di sicuro andrà a confortare le poche comunità cristiane rimaste nel Paese. Ieri il Patriarca Caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako, aveva lanciato un drammatico appello in cui chiedeva il sostegno internazionale e denunciava la necessità «di un esercito professionale e ben equipaggiato. Siamo di fronte a un disastro umanitario e i cristiani in Iraq sono a rischio genocidio».
La situazione è precipitata drammaticamente con la caduta di Mosul, dove oggi non ci sono più cristiani. È un esodo di massa, quasi biblico, la gente fugge verso le città curde di Erbil, Duhok e Soulaymiya. Ma il Kurdiastan non riesce a accogliere tutti i profughi che qui cercano riparo. «Nella notte fra il 6 e il 7 agosto i miliziani dell’Isis hanno attaccato con colpi di mortaio molti dei villaggi della piana di Ninive, e ora hanno assunto il controllo dell’area. – afferma Sako –. I cristiani, 100 mila circa, in preda all’orrore e al panico hanno abbandonato i loro villaggi e le loro case, con niente in mano se non i vestiti che avevano indosso». Alcuni di loro sono scappati in pigiama.
La città di Bakhdida, poco più di 30 chilometri a sud di Mosul, è l’ultima di una serie di conquiste che l’Isis ha messo a segno dall’inizio di giugno. Era la più grande città cristiana dell’Iraq, e i suoi abitanti hanno fatto la stessa fine dei loro fratelli nella fede che nei mesi scorsi hanno abbandonato le loro case per non sottomettersi alla legge islamica. Le chiese sono state occupate, le croci distrutte, 1500 antichi manoscritti cristiani bruciati. Pare che il 10% dei miliziani che combattono nell’esercito dell’Isis arrivi dalla Turchia. Dopo la caduta di Mosul a difendere le zone del Kurdistan dall’avanzata jihadista erano rimasti i peshmerga, truppe curde considerate d’elite. Adesso anche loro si sono ritirati perché non più in grado di resistere.
Non solo cristiani. Nel mirino dell’Isis ci sono i cristiani e tutti coloro che sono considerati pagani. Negli ultimi giorni è toccato agli yazidi, che i jihadisti definiscono adoratori del diavolo, perchè hanno un culto che incorpora elementi di zoroastrismo, manicheismo, ebraismo, cristianesimo e islam. Con l’avanzata dell’Isis è tornata a farsi sentire anche la parola sabaya, che indica le schiave di guerra: donne che vengono rapite dai jihadisti e considerate bottino di guerra. I gruppi jihadisti sono diffusi in tutta l'Africa, in Medio Oriente, e in alcune parti dell'Asia. Alcuni hanno connessioni con al-Qaeda, altri no. Ma tutti condividono l'obiettivo comune di creare uno stato islamico con la violenza.
La comunità internazionale. Alla luce degli ultimi avvenimenti, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu giovedì aveva indetto una riunione d'emergenza. La richiesta era arrivata dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, per affrontare il problema dell’avanzata dell’Isis. Intanto l’America, secondo quanto riferisce il New York Times, sta valutando l’ipotesi di bombardamenti aerei sui jihadisti. Pare che gli Stati Uniti siano molto preoccupati per la situazione delle minoranze religiose e si sono detti pronti ad aiutare il governo iracheno nell’affrontare l’emergenza che sta portando a una catastrofe umanitaria imminente. Secondo Obama «ogni eventuale azione militare sarà limitata nei suoi obiettivi» dal momento che «non vi è una soluzione militare alla crisi dell'Iraq, serve una soluzione politica».