Bossetti, ergastolo confermato e perizia del Dna negata
Ci sono volute quindici ore di camera di consiglio ai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Brescia per emettere sentenza. Ma alla fine, alle 00.30 di martedì 18 luglio, è stata confermata la sentenza di condanna all'ergastolo per Massimo Bossetti, l'uomo ritenuto il colpevole dell'omicidio di Yara Gambirasio.
La lunghissima attesa. Lunedì 17 luglio, l'ultima delle cinque udienze del processo di secondo grado nei confronti del muratore di Mapello che era già stato condannato al "fine pena mai" in primo grado poco più di un anno fa, si era aperta proprio con le parole dell'imputato che aveva voluto rilasciare delle dichiarazioni spontanee alla corte. Quaranta minuti di intensa arringa nei quali Bossetti, rivolgendosi sia ai giudici (popolari e togati) che al pubblico presente in aula, aveva ancora una volta rimarcato la propria innocenza, implorando letteralmente una nuova perizia sul Dna rinvenuto sul corpo della tredicenne di Brembate Sopra tragicamente uccisa la notte del 26 novembre 2010. Poi, alle 9.30 circa, il collegio giudicante, presieduto dal giudice togato Enrico Fischetti, si è riunito per decidere. La sentenza, oppure l'ordinanza per una nuova perizia sul Dna, era inizialmente attesa per il tardo pomeriggio ma successivamente, come ha reso noto l'avvocato difensore di Bossetti, Claudio Salvagni, su Facebook, tutto è stato rinviato alle 22. Alla fine i giudici hanno espresso il loro verdetto alle 24.30. Stando ad alcune indiscrezioni, pare che il ritardo sia stato dovuto alla diversità di vedute dei giudici popolari componenti il collegio giudicante sulla delicata questione della ripetizione del test sul frammento biologico. Alla fine potrebbero essere stati Fischetti e il suo vice, ovvero i giudici togati, a far pendere la bilancia verso la conferma della sentenza di primo grado, respingendo però anche l'ulteriore richiesta dell'accusa di sei mesi di isolamento diurno per calunnia, dovuta al fatto che Bossetti aveva accusato un suo ex collega.
Le (dure) reazioni della difesa. Chi era presente in aula al momento della lettura della sentenza, racconta di un Bossetti «impietrito», mentre la moglie Marita Comi (sempre al suo fianco in questi due lunghissimi anni di processi), la madre Ester Arzuffi e la sorella Laura sono scoppiate in lacrime. Salvagni, nell'intervista rilasciata a noi di BergamoPost proprio prima dell'avvio del processo di secondo grado, pur mostrandosi fiducioso aveva anche detto che sarebbe stato sbagliato riporre grandi aspettative in questo processo d'Appello. In particolare, aveva sottolineato come stesse cercando di far capire bene al suo assistito che era probabile una conferma della sentenza di primo grado, cosa poi accaduta. Nonostante ciò, la reazione alla decisione della Corte d'Assise d'Appello di Brescia di uno dei due legali del carpentiere di Mapello (insieme all'avvocato Paolo Camporini) è stata molto dura. «A questo punto tanto vale che il Parlamento faccia una nuova legge: se c’è il Dna, non facciamo nemmeno il processo, che altrimenti è una farsa»: così ha parlato Salvagni ai microfoni di Radio Anch’io, ribadendo, come già fatto durante la lunghissima arringa andata in scena nelle udienze del 6 e del 10 luglio, come a parere della difesa il Dna presenti numerose anomalie e come la procedura seguita per effettuare il test su quel frammento biologico non abbia rispettato i criteri stabiliti dalla comunità scientifica internazionale. Tutte tesi, però, che non sono state accolte in primis dall'accusa, con il sostituto procuratore generale di Brescia Marco Martani che ha sottolineato come la ricostruzione fatta dalla procura di Bergamo prima e dalla sentenza di primo grado poi sia «ineccepibile», e successivamente anche dalla corte giudicante, sebbene bisognerà attendere la pubblicazione delle motivazioni per avere un quadro più chiaro della situazione. Intanto Paolo Camporini ha praticamente annunciato il ricorso in Cassazione, anche se in terzo grado di giudizio non si potrà discutere delle questioni di merito del processo.
Le parole di Bossetti prima della sentenza. «Neanche un animale sarebbe stato così crudele. Yara poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi»: così ha iniziato la sua lunga dichiarazione spontanea il carpentiere bergamasco, e nonostante il presidente del collegio giudicante, Enrico Fischetti, gli abbia chiesto di essere più conciso, Bossetti s'è preso tutto il tempo per esprimere a parole ciò che provava. «Chiedo scusa se nella prima udienza ho tenuto un atteggiamento scorretto – ha detto Bossetti riferendosi a quando ha accusato il sostituto procuratori generale, lo scorso 30 giugno, di "dire idiozie" -. Ma pensate come può sentirsi una persona attaccata con ipotesi irreali. Dal giorno dell’arresto sono stato interrogato per ore, ho sempre detto di essere innocente ma a che cosa serve se poi non mi credono e fanno quello che vogliono? Non potevo confessare cose che non ho commesso». Il passaggio più toccante, però, è certamente stato quello in cui l'imputato ha parlato dei suoi tre figli: «Voglio che i miei figli pensino che io sia una persona onesta e che merita la loro stima. Quando vengono a trovarmi mi chiedono quando tornerò a casa. Io gli rispondo che il papà deve uscire da dove sono entrati loro, a testa alta. Non ho ucciso Yara, non l’ho mai vista. Sono sicuro che quel Dna non è il mio e quindi vi supplico e vi imploro di disporre una nuova perizia. La mia condanna è il più grave errore giudiziario di questo secolo». Bossetti ha anche criticato l’atteggiamento tenuto dalle forze dell’ordine nei suoi confronti nel giorno dell’arresto: «È stato scandaloso. Ho provato tutto sulla mia pelle e non posso fare finta di nulla. C’era proprio bisogno di farmi inginocchiare così, davanti al mondo intero e ai miei figli? Mi hanno fatto sembrare un mostro. Mi sono sentito umiliato, mi sono sentito come una lepre su una strada, abbagliata e accerchiata da un numero spropositato di cacciatore per essere spolpata viva. E il mio povero papà dovermi vedere inginocchiato il giorno in cui gli hanno diagnosticato un tumore». Alla fine, oltre che alla corte, Bossetti s’è rivolto anche al pubblico presente in aula: «Non sono un assassino, lo dico una volta per tutte. Possibile che non ve ne rendiate conto? La violenza non fa parte di me, nel cuore di Bossetti c’è l’amore per la famiglia, non la violenza. Non posso marcire in carcere per un delitto che non ho commesso».