In vista del voto per il Qurinale

Cofferati e altre scosse nel Pd

Cofferati e altre scosse nel Pd
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Sergio Cofferati, sabato 17 gennaio, ha lasciato il Partito Democratico. L’ex sindacalista, soprannominato “il Cinese” e tra i 45 fondatori dell’allora nuovo partito Dem, ha maturato la propria decisione dopo l’esito delle primarie liguri, che ha incoronato Raffaella Paita come rappresentante Pd alla corsa alla guida della Regione. Nelle ore immediatamente successive al voto, Cofferati aveva denunciato gravi irregolarità nel voto. Poi, sabato, la decisione, comunicata attraverso una conferenza stampa: «Di fronte a tutto questo io non posso più restare – ha detto -. Trovo inaccettabile il silenzio del mio partito, lo considero una vergogna». Parole di fuoco, che hanno sconquassato i già precari equilibri interni al Pd, dove la minoranza ha preso nuova forza ed è pronta a combattere una nuova battaglia politica contro il premier Matteo Renzi, come hanno dimostrato le parole di Pippo Civati e Stefano Fassina. Il primo ha puntato il dito contro i vertici, «pronti a imbarcare con orgoglio la destra»; il secondo, invece, è stato ben più duro: «Renzi va verso i poteri forti».

 

 

Il grande addio. Le accuse dell’ex sindaco di Bologna, oggi europarlamentare, si muovono su due binari, uno legale e uno politico. L’accusa di brogli lanciata da Cofferati all’indomani del voto è stata in parte confermata dal collegio dei garanti del Pd, che ha annullato il voto di ben 13 seggi, ma ha anche destato l’attenzione della Procura di Savona e di quella di Genova, oltre che della Direzione distrettuale antimafia, che ha ufficialmente aperto un fascicolo sulla vicenda. Secondo l’europarlamentare, infatti, il team della Paita avrebbe comprato i voti di molte persone, tutto per assicurare la vittoria dell’ex assessore regionale, conquistata con 28mila voti circa contro i 24mila ottenuti da Cofferati. Ad andare più di traverso al “Cinese”, però, sono state le mosse politiche che hanno portato a questa situazione: a suo parere, infatti, il Pd ligure avrebbe intercettato anche i voti del centrodestra a supporto della Paita, il tutto per ricreare su scala locale l’attuale situazione politica nazionale, dove i democratici governano con il supporto di Ncd e il tacito accordo con Berlusconi.

Cofferati ci è andato giù duro con il suo (ex) partito, posizioni riconfermate in un’intervista rilasciata il 19 gennaio a La Repubblica, in cui ha nuovamente puntato il dito contro Renzi: «Va in televisione a darmi dell'ipocrita. Solo insulti e offese. Se un partito, invece di chiedersi le ragioni delle dimissioni di uno dei suoi fondatori, reagisce così, siamo alle frutta. Anzi, ormai al digestivo». E nonostante l’ex sindaco di Bologna abbia smentito l’ipotesi di fondare un nuovo partito, all’interno della minoranza Dem sono tanti a sperarlo. In primis Civati e Fassina. Ma anche Gianni Cuperlo non nasconde il proprio malumore: «La sua uscita dal Pd è una ferita per chiunque abbia creduto con passione alla costruzione di una grande forza della sinistra. È sbagliato e offensivo liquidare la decisione di Cofferati come una reazione stizzita all’esito delle primarie in Liguria. E farebbero bene i vertici del mio partito a tacitare reazioni improntate a questo tenore». Il riferimento è alle parole di Deborah Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia, che aveva commentato l’addio di Cofferati dichiarando: «Non si può far parte di una comunità politica dicendo: se vinco resto, se perdo me ne vado». Ci sono renziani, inoltre, che si chiedono se a questo punto non sia giusto che Cofferati abbandoni anche il seggio all’Europarlamento, conquistato anche con voti del Pd. Ma lui, sempre a Repubblica, dice di non pensarci minimamente.

Cosa cambia a livello nazionale. La questione, seppur abbia come protagonista un volto noto della politica nazionale, nasce come questione locale. Eppure le ripercussioni stanno facendo tremare l’intero Partito Democratico. Il motivo è che l’addio e la parole di Cofferati sono state benzina sul fuoco, apparentemente sopito, della minoranza anti-Renzi interna al Pd. Civati, Fassina, Cuperlo e tanti altri hanno colto la palla al balzo per tornare a criticare le scelte politiche del premier. L’ex braccio destro della Leopolda, Civati, chiede al primo ministro «di dirlo se il Pd è diventato un partito di centrodestra. Ci togliamo il pensiero», mentre Fassina minaccia «ripercussioni sul voto per il Quirinale per il modo sbrigativo e offensivo con cui è stata trattata la questione». Insomma, se Renzi sperava di aver dalla sua un fronte compatto in vista del voto per il Quirinale, deve ricredersi. E la cosa si riflette anche nei sondaggi, almeno secondo quanto riportato dai dati Ipsos pubblicati dal Corriere della Sera: rispetto alle europee, vero trionfo di Renzi, il Pd avrebbe perso il 6%, di cui ben oltre tre punti percentuali negli ultimi due mesi. Una perdita di consensi che porta i Dem da oltre il 40% ad un magro 35%.

Il vero problema politico che sta vivendo in questo momento il Pd, infatti, parte proprio dalla base, stanca di vedere, dopo ogni primaria, una polemica. Era già successo a Napoli, nel 2011: primarie dell’affluenza record, ma anche della vittoria di Andrea Cozzolino, mai riconosciuta dal Pd che, a differenza del caso ligure, decise di annullare tutto per presunti brogli in tre seggi. È toccato poi alle polemiche per le primarie di Roma, che elessero Ignazio Marino candidato sindaco del Pd nel 2013. Oggi tocca invece alla Liguria. La questione primarie è quanto mai sentita dalla base, che vedeva in questo istituto un mezzo di democrazia assente nelle forze rivali e si trova invece costretta, oggi, ad assistere a continue polemiche causate proprio dalle stesse. Anche tanti renziani di ferro, come l’ex sindaco di Bari Michele Emiliano, non nascondo un po’ di imbarazzo e chiedono che siano riviste le regole per renderle più certe.

 

 

L’emorragia di voti secondo Ipsos. I veri problemi del Pd, dunque, non arrivano dall’addio di Cofferati, che semmai li ha solo messi in luce. Come spiega Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos, sul Corriere, sono tre i filoni di elettori che stanno abbandonando negli ultimi mesi il Pd: «I ceti professionalizzati che, dopo aver investito sul premier, tendono a tornare nell’area di centrodestra (in particolare Forza Italia); i bassi titoli di studio, le persone di età medio/alta, le casalinghe, da un lato più esposti alla crisi, dall’altro più delusi nelle attese (qualche volta messianiche) verso il governo, che si orientano maggiormente verso la destra (Lega e FdI); infine giovani e studenti, che si orientano verso la Lega in primis e poi le forze centriste». Sembrano lontani i tempi del 41% alle urne.

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