«Fa del male al giornale»

De Benedetti non le manda a dire Un'intervista di risposta a Scalfari

De Benedetti non le manda a dire Un'intervista di risposta a Scalfari
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Dopo Luciano Benetton un altro grande vecchio del capitalismo italiano ha voluto togliersi più di un sassolino dalle scarpe. Carlo De Benedetti, 83 anni, con un’intervista al Corriere della Sera ha voluto dire la sua rispetto a un intoccabile come Eugenio Scalfari, cioè il fondatore del giornale che ha fatto la fortuna dell’ingegnere: La Repubblica. Già la scelta di parlare alla testata tradizionalmente concorrente come il Corriere e a un giornalista di punta come Aldo Cazzullo è una scelta che preannuncia un risentimento e una volontà di resa dei conti.

 

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La questione Scalfari. La questione della contesa è semplice: nel consueto editoriale della domenica, Eugenio Scalfari se n’era uscito con un’affermazione che, dato il suo passato e il suo pensiero, ha fatto saltare sulla sedia più di un lettore di Repubblica. In sostanza l’ex direttore di Repubblica diceva che nella probabile ipotesi di una sconfitta del Pd e delle sinistre alle prossime elezioni, lui avrebbe votato “scheda bianca” ma si augurava una vittoria di Berlusconi piuttosto che dei 5stelle. Apriti cielo! Scalfari che s’inchina al nemico di sempre... In realtà il ragionamento di Scalfari era ben circostanziato: dati alla mano, le esperienze amministrative dei 5stelle sono sempre state fallimentari e una loro salita al governo aprirebbe le porte a poteri opachi e ambigui. Non sembra neanche che la cosa abbia indispettito più di tanto i lettori di Repubblica, anche per quella sorta di venerazione che si prova rispetto ad un mito del giornalismo come Scalfari. Un mito che negli ultimi anni ha mostrato di essere molto libero anche rispetto al proprio passato, come testimonia l’intenso rapporto con papa Francesco, a cui aveva fatto la prima intervista del pontificato.

Il nemico numero uno. Ma Carlo De Benedetti non l’ha mandata giù e nell’intervista ha voluto ribadire che Berlusconi è il nemico senza se e senza ma. Che lui è l’incarnazione di tutti i mali d’Italia. E che quindi un’uscita come quella di Scalfari alla fine danneggia Repubblica («Un pugno allo stomaco per i suoi lettori»). Quanto al suo ex direttore, il suggerimento non è di quelli teneri: «Scalfari è stato talmente un grande nell’inventare Repubblica che farebbe meglio a preservare il suo passato».

 

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La nuova veste, ma... Poi De Benedetti, che come Benetton ha passato la mano ai figli, si toglie qualche sassolino anche rispetto all’attuale conduzione di Repubblica. Elogia senza mezzi termini la riforma grafica recentissima («Elegante, pulita, innovativa»), ma sottolinea che il vestito non fa il monaco: «Un giornale ha bisogno di spifferi, correnti, energie. Un giornale non è solo latte e miele; è carne e sangue. Può avere curve ma deve avere anche spigoli».  Ovvio che gli “spigoli” siano in particolare quelli dell’antiberlusconismo: più che una bandiera, quasi un’identità del giornale.

La joint venture con La StampaIn realtà De Benedetti deve fare i conti con un’altra identità proprietaria di Repubblica: quella torinese degli eredi Agnelli, dopo la joint venture con La Stampa. Non a caso il direttore attuale viene dal quotidiano torinese: Mario Calabresi. Non a caso Scalfari nell’intervista non lo cita, mentre si lancia in un grande elogio del giornalista che recentemente gli è stato affiancato come condirettore, Tommaso Cerno («Uno dei migliori giornalisti della sua generazione»). Ma la codirezione, dice, è una formula che non funziona. Chi ha orecchi per intendere intenda.

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