L'allenatore voleva l'anonimato

I debiti della famiglia di Anquilletti e l'aiuto inatteso di Donadoni

I debiti della famiglia di Anquilletti e l'aiuto inatteso di Donadoni
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I debiti sono molto peggio di quei terzinacci di una volta, marcano anche l’anima, spezzano la serenità, e infatti a Mario Angelo Anquilletti avevano portato via la casa, e ci è mancato tanto così che non gli soffiassero via la dignità. Troppo buono, ha raccontato il figlio William al Corriere della Sera, «si fidava di tutti». A forza dire sì gli avevano portato via due miliardi di lire, la pensione per una carriera come numero 2 dell’Atalanta e soprattutto del Milan a cavallo degli anni Sessanta, con cui aveva vinto uno scudetto, una mitica Intercontinentale, una Coppa Campioni e due Coppa Coppe. Quasi trecento partite in rossonero (278 partite) e zero espulsioni, perché Anguilla, come lo chiamavano tutti, il pallone lo faceva scivolare da una gamba all’altra con un’abilità incredibile. Ma anche il calcio finisce e Anguilla si era dovuto reinventare. Prima una clinica odontotecnica a Monza, poi nel commercio di metalli, infine le mediazioni immobiliari. Non era roba per lui.

 

Angelo_Anquilletti_-_Milan_1968-1969

 

La morte, un anno fa. Anguilla se n’è andato a 71 anni, il 9 gennaio di un anno fa, e «il funerale lo ha pagato un gruppo di solidarietà veneto, amici. Siamo sul lastrico da tempo, ma dei debiti di papà nel dettaglio sapevamo poco, lui teneva tutto per sé. Due giorni dopo ci siamo accorti che anche la casa era ipotecata». William non è più un ragazzino. Vive in una villetta bifamiliare con giardino a Bellusco assieme al fratello Roberto e alla madre Elsa. Per colpa dei debiti la casa finisce all’asta. Quasi 50mila euro per ricomprarsi la sicurezza di un tetto. «Abbiamo provato di tutto, abbiamo scritto anche a Berlusconi. Niente. Poi grazie al cielo ci ha pensato Roberto. Roberto Donadoni». Non è la prima volta che Donadoni si gira, si guarda attorno e vede l’altro. Chi ha bisogno, chi non ce la fa. Quando stava a Parma e Ghirardi se l’era data a gambe lasciando un sacco di debiti e i dipendenti senza stipendio, Roberto aveva aiutato di tasca sua un sacco di gente, i magazzinieri, il custode, quelli che nel calcio ci lavorano per passione, mica per diventare ricchi. E così è successo con William, il figlio di Anguilla: «Mio padre andava pazzo per lui, diceva che gli dava del tu al pallone».

 

ATA 14

 

«Avrebbe preferito rimanere anonimo». Donadoni e Anquilletti, ex atalantini, ex milanisti tutti e due. Velocipedi da fascia, l’uno sapeva marcare, l’altro dribblava chiunque. Uno rubava palla a Mazzola, l’altro s’inventava una giocata che lasciva di stucco gli dèi. Donadoni e Anguilla, lombardi, poche parole, molti silenzi. Gente che preferisce i fatti alle parole. «Lo so che forse avrebbe preferito restare anonimo ma non m’importa: papà avrebbe voluto così, io lo so». A mettere in contatto l’allenatore del Bologna e il figlio di Anquilletti, il procuratore Carlo Oggero e l’amico comune Sergio Meroni, che con Anguilla ha organizzato ovunque per anni partite benefiche con le vecchie glorie. In pochi giorni il debito viene estinto, e per William è una liberazione. Spiega: «Metterò la casa in vendita, con il ricavato restituirò il denaro a Roberto e col resto cercherò di ripartire. Sarà dura ma ci proveremo. Mangiamo con la pensione di reversibilità di mia madre, non più di 600 euro». Dice di aver trovato in un vecchio armadio alcuni cimeli: un paio di scarpe, tre o quattro calzini e una maglia di Swart dell’Ajax, che mio padre marcò nella finale di Madrid. «Le sue? Macché, le regalava tutte, non ci pensava. Era un uomo buono, trasparente».

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