Dopo il successo del "no" al referendum

E ora cosa accadrà alla Grecia?

E ora cosa accadrà alla Grecia?
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Nella giornata di ieri, domenica 5 luglio, i cittadini greci sono stati chiamati alle urne per il referendum indetto dal Premier Alexis Tsipras una settimana fa. Il quesito, come noto, riguardava l’accettare o meno le proposte che l’Europa, e in generale i creditori della Grecia, hanno messo sul tavolo nei giorni scorsi per tentare di risanare il disastroso bilancio pubblico di Atene. E i cittadini ellenici, con una netta maggioranza (circa il 61 percento), hanno detto “no”: o cambiano le condizioni, oppure la Grecia le misure proposte dai creditori non le adotterà mai. Un risultato piuttosto sorprendente, in molti in questi giorni si erano dichiarati certi dell’esito affermativo del referendum, che ora pone il Paese mediterraneo in una condizione molto incerta: perché se è vero che l’Europa non può ignorare il fatto che un intero popolo le ha fragorosamente chiuso la porta in faccia, è altrettanto vero che la Grecia ha un bisogno disperato di un nuovo prestito, poiché i soldi, ormai, sono praticamente finiti. Subito dopo il voto, il Ministro delle Finanze Varoufakis si è dimesso, per favorire le trattative con l'Europa.

Cosa accadrà ora. Il 20 luglio prossimo, scatta la scadenza mensile per il pagamento di una rata del prestito di cui Atene ha usufruito nei mesi scorsi da parte del Fondo monetario internazionale. Ed è pressoché certo che la Grecia i soldi per rispettare tale scadenza non li avrà. Già a fine giugno Tsipras non rispettò il pagamento della rata, ed è assai probabile che dovrà ripetersi in questa mancanza. Perché in questo momento la Grecia non solo manca della liquidità necessaria per adempiere ai propri doveri di debitrice, ma non ha ormai nemmeno più il denaro per pagare gli stipendi, le pensioni, i servizi, per far funzionare la macchina dello Stato. Le banche sono prosciugate, e non è stata certo la chiusura degli sportelli bancomat voluta dal Governo nell’ultima settimana ad aver concesso un po’ di respiro agli istituti di credito.

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A supporter of the No vote waves a Greek flag in front of the parliament after the results of the referendum at Syntagma square in Athens, Sunday, July 5, 2015. Greeks overwhelmingly rejected creditors' demands for more austerity in return for rescue loans in a critical referendum Sunday, backing Prime Minister Alexis Tsipras, who insisted the vote would give him a stronger hand to reach a better deal. (AP Photo/Emilio Morenatti)

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A supporter of the No vote makes the victory sign after the results of the referendum at Syntagma square in Athens, Sunday, July 5, 2015. Greeks overwhelmingly rejected creditors' demands for more austerity in return for rescue loans in a critical referendum Sunday, backing Prime Minister Alexis Tsipras, who insisted the vote would give him a stronger hand to reach a better deal. (AP Photo/Emilio Morenatti)

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A supporter of the No vote waves a Greek flag as celebrates after the results of the referendum in Synatagma square in central Athens, Sunday, July 5, 2015. Voters in Greece resoundingly rejected creditors' demands for more austerity in return for rescue loans Sunday, backing Prime Minister Alexis Tsipras, who insisted the vote would give him a stronger hand to reach a better deal. (AP Photo/Petros Karadjias)

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Supporters of the No vote wave Greek flags and shout slogans as they celebrate after the results of the referendum in Synatagma square in central Athens, Sunday, July 5, 2015. Voters in Greece resoundingly rejected creditors' demands for more austerity in return for rescue loans Sunday, backing Prime Minister Alexis Tsipras, who insisted the vote would give him a stronger hand to reach a better deal. (AP Photo/Petros Karadjias)

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Supporters of the No vote chant slogans after the results of the referendum at Syntagma square in Athens, Sunday, July 5, 2015. Voters in Greece resoundingly rejected creditors' demands for more austerity in return for rescue loans Sunday, backing Prime Minister Alexis Tsipras, who insisted the vote would give him a stronger hand to reach a better deal. (AP Photo/Petros Giannakouris)

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A supporter of the No vote shouts slogans after the results of the referendum in the northern Greek port city of Thessaloniki, Sunday, July 5, 2015. Greeks overwhelmingly rejected creditors’ demands for more austerity in return for rescue loans in a critical referendum Sunday, backing Prime Minister Alexis Tsipras, who insisted the vote would give him a stronger hand to reach a better deal. (AP Photo/Giannis Papanikos)

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Supporters of the No vote react after the results of the referendum at Syntagma square in Athens, Sunday, July 5, 2015. Greece faced an uncharted future as its interior ministry predicted Sunday that more than 60 percent of voters in a hastily called referendum had rejected creditors' demands for more austerity in exchange for rescue loans. (AP Photo/Emilio Morenatti)

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Supporters of the No vote react after the results of the referendum at Syntagma square in Athens, Sunday, July 5, 2015. Greece faced an uncharted future as its interior ministry predicted Sunday that more than 60 percent of voters in a hastily called referendum had rejected creditors' demands for more austerity in exchange for rescue loans. (AP Photo/Emilio Morenatti)

Tsipras in posizione di forza. Insomma, la situazione finanziaria è disperata, aggravata oltretutto da un’economia devastata: tasso di disoccupazione mostruoso, Pil in picchiata inarrestabile, evasione fiscale alle stelle. Ora, in una situazione del genere, il popolo greco ha comunque deciso di rifiutare la mano, più il dito a dire il vero, tesa dall’Europa. Una scelta che, da un lato, inevitabilmente metterà Tsipras in una posizione di maggior forza una volta che ci si risiederà al tavolo dei negoziati (cosa che dovrebbe accadere nel giro di poche ore e a cui non prenderà parte Yanis Varoufakis, Ministro delle finanze greco dimessosi questa mattina), non tanto per un reale interesse da parte dell’Europa nei confronti dell’opinione dei greci, quanto più per il fatto che la Grecia ha debiti colossali nei confronti non solo di Bce e Fmi, ma anche di singoli Stati (Germania, Francia e Italia su tutti), e quindi tutti hanno il più che vivo desiderio che Atene non dichiari definitivamente bancarotta. Da un altro lato, la Grecia, come detto, ha un disperato bisogno di soldi, e soprattutto ne ha bisogno il più in fretta possibile (un eventuale non pagamento della rata del 20 luglio sancirebbe quasi certamente il fallimento dello Stato), e qui i creditori si trovano in una posizione di vantaggio, potendo contare sullo stato di necessità assoluta della Grecia.

Il coltello in mano all'Europa. È una situazione in cui, dunque, entrambe le parti hanno qualcosa, anzi molto, da perdere, e in cui dovranno per forza venirsi incontro onde evitare situazioni catastrofiche per entrambe. Tutto sommato, nonostante la vittoria del “no”, il coltello dalla parte del manico è comunque ancora ampiamente in mano all’Europa, e lo scenario più plausibile che dovrebbe profilarsi nei prossimi giorni dovrebbe vedere un leggero allentamento delle condizioni dei creditori, ma comunque misure importanti e significative che, alla fine, Tsipras sarà costretto ad accettare.

L’uscita dall’euro: quasi impossibile. Il grande spettro che aleggia sopra tutta questa intricata vicenda, ovvero quello dell’uscita della Grecia dall’euro, è quasi certamente da scartare: Tsipras, subito dopo la certezza della vittoria del “no”, ha chiaramente detto che non intende portare Atene fuori dalla moneta unica, ma anche senza questa dichiarazione si può capire agilmente come il ritorno alla dracma creerebbe molti più problemi che benefici ai greci. Ipotizzando infatti un “Grexit”, Atene, non potendo naturalmente più contare sui prestiti dall’Europa, sarebbe costretta a stampare nuova moneta, in dracme ovviamente, per creare liquidità nel Paese; cosa che, altrettanto ovviamente, genererebbe un aumento corposo dell’inflazione e un contestuale crollo del potere d’acquisto da parte dei cittadini. Non solo, perché la Grecia si troverebbe costretta comunque a muoversi, almeno per i primi tempi, con l’euro sul mercato internazionale (acquisto di beni o energia dall’estero), e dovrebbe dunque inizialmente impostare la propria finanza su due monete differenti, un po’ come per i primi mesi dell’euro, nel 2002. In un contesto del genere, è difficile immaginare il rilancio di un’economia già di per sé prostrata, e dunque Atene sarebbe nuovamente costretta a chiedere prestiti internazionali, ricominciando tutto da capo.

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