La Qatar Foundation fa causa a El Joulani

In via Cenisio è tornata la pace Ma gli islamici restano divisi

In via Cenisio è tornata la pace Ma gli islamici restano divisi
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Il silenzio è tornato a regnare sovrano in via Cenisio, Bergamo. Ogni tanto, passando affianco al Centro islamico, si sente un colpo di martello, lo sferragliare dei tubi. Si lavora, finalmente. Dopo mesi di proteste, di preghiere in strada, è tornata la pace. Il Comitato musulmani di Bergamo, il gruppo nato per protesta contro la presidenza di Mohamed Saleh al Centro culturale e che per mesi ha pregato per strada, si è trasferito per il Ramadan nella palestra della scuola di via Monte Cornagera e così, dopo una lunga attesa, sono potuti finalmente incominciare i lavori all'interno della moschea. I pavimenti vanno sistemati e dai muri vanno cancellate le macchie lasciate dalle infiltrazioni d’acqua. In più servono bagni nuovi e una cucina. Infine verranno stesi otto rotoli di tappeti, già arrivati dalla Turchia. «Ci vorranno una ventina di giorni, massimo un mese», dice Saleh al Corriere della Sera Bergamo.

 

centro culturale islamico di via cenisio bergamo 1

 

Sono gli ultimi sviluppi di una vicenda che ha preso il via a febbraio, quando la comunità islamica di Bergamo si è spaccata in due: da una parte i sostenitori di Saleh, presidente del Centro islamico, interlocutore riconosciuto anche dal Comune, dall'altra quelli che non lo vorrebbero più come presidente, riunitisi nel nuovo Comitato musulmani di Bergamo. Una scissione che ha portato a tensioni tali da far propendere Saleh per la chiusura della moschea, oramai da mesi inagibile. Anche perché Saleh, redigendo il nuovo regolamento del Centro islamico, ha stilato una lista di 40 nomi non più graditi all'interno della moschea. Una "black list" insomma. Cosa che ha fatto letteralmente infuriare i suoi oppositori. Ora, secondo quanto riferito dallo stesso Saleh al Corriere, pare che sia stato trovato un compromesso: «Avevo presentato alle istituzioni un elenco con i nomi delle 40 persone non più gradite al Centro. Mi hanno poi chiesto di ridurre la lista, così sono sceso a 15 nomi. Io sto facendo la mia parte, portando avanti i lavori. Ora chiedo alle istituzioni di fare la loro, garantendo che queste 15 persone non mettano più piede in via Cenisio. Per tutte le altre, invece, una volta finiti i lavori, la porta sarà aperta, come è sempre successo negli ultimi 16 anni».

La fine del Ramadan, però, è dietro l'angolo. E il rischio che i membri del Comitato musulmani tornino a pregare per strada nel caso in cui la moschea non venga subito riaperta è alto. Senza contare che, per il futuro, la "scissione" interna alla comunità islamica pare rimarrà, cosa che preoccupa non poco il Comune, tanto da arrivare a proporre l'organizzazione di diversi turni di preghiera per i due gruppi. Un'opzione, però, ritenuta non percorribile da Saleh: «Nessuno accetta di dividere casa propria con qualcun altro. Chi ha creato caos non può più rimettere piede nel Centro. Il Comune dice che non ha più un unico interlocutore per la comunità islamica, ma sbaglia. Dovrebbe fare riferimento a chi, come noi, ha sempre agito rispettando la legge. È inaccettabile dare credito a chi prega per strada occupando il suolo pubblico. Io non lo tollererò più e se qualcuno pregherà fuori dalla moschea, su un’area di nostra competenza, verrà segnalato alle autorità». Toni che non nascondono le frizioni ancora esistente tra i due gruppi.

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Una scissione che ha radici precedenti alla "black list" redatta da Saleh: la scintilla è stata infatti la denuncia presentata da Saleh e dall’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii) nei confronti dell’ex numero uno di via Cenisio, Imad El Joulani, accusato dalla Procura di Bergamo di appropriazione indebita per i 5 milioni di finanziamento ricevuti dalla Qatar Charity Foundation per un nuovo centro islamico in via San Fermo. Il neonato Comitato musulmani, di fatto, è nato a supporto di El Joulani. A questa battaglia legale, però, negli ultimi giorni s'è aggiunto un nuovo capitolo: la Qatar Charity Foundation ha dato mandato all’avvocato Michele Olivati per procedere anche con un’azione civile, parallela a quella penale, nei confronti dell’ex numero uno di via Cenisio. L'obiettivo della fondazione è recuperare i 5 milioni donati. E mentre si attendono novità dalla procura, come spiega il Corriere, il cantiere di via San Fermo resta bloccato. Anche perché, dice El Joulani, «ci hanno sequestrato i conti e non abbiamo soldi per pagare le imprese». Una situazione che pare ben lontana dalla sua soluzione, nonostante per ora regni la pace. Almeno in via Cenisio. Domani, chissà.

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