Conseguenze soprattutto alla Fifa

Che ne è dei Panama Papers?

Che ne è dei Panama Papers?
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Dovevano ribaltare il mondo, minare il sistema dell'evasione tributaria internazionale e mettere alla gogna pubblica i tanti furbetti che giocavano con società offshore e paradisi fiscali: i Panama Papers, insomma, sarebbero dovuti essere una bomba, non solo giornalistica, vera e propria. Eppure non ne ha più parlato nessuno, dopo una prima settimana bollente fatta di indici puntati e nomi sbattuti in prima pagina. Perciò, viste le premesse che si erano profilate, la domanda è comprensibile: ma che ne è stato dell'inchiesta? Cerchiamo di capirlo.

 

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Anzitutto: cosa sono i Panama Papers. Con la dicitura Panama Papers si intendono una serie di documenti trapelati da una delle più importanti società del mondo, la Mossack Fonseca, che si occupa di creare e gestire società offshore, ovvero facenti capo ai cosiddetti paradisi fiscali. Lo scopo di creare una società offshore è evidente: nascondere soldi al fisco del proprio Paese di residenza. Questi documenti, che sarebbero più di 11 milioni, sono stati consegnati al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung da un dipendente (naturalmente anonimo) della Mossack Fonseca, e hanno dato il via ad un’inchiesta giornalistica che dopo mesi di lavoro e di indagini ha portato alla diramazione dei nomi delle società e delle persone coinvolte (e si parla di decine di migliaia in ambo i casi), fra i quali spiccano, ad esempio, Vladimir Putin, David Cameron e Lionel Messi. Avere soldi in paradisi fiscali, in sé, non è illegale, a patto che il fatto di detenere questo denaro e il suo relativo ammontare sia regolarmente dichiarato alle autorità. Ma parrebbe che i soggetti coinvolti, o perlomeno alcuni di essi, non abbiano adempiuto a questo dovere, cosa che dunque rende la faccenda un reato.

 

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Le conseguenze in politica. Diversi politici, anche di primo piano, figuravano nell'elenco dei soggetti coinvolti nei Panama Papers, cosa che, se non da un punto di vista giuridico nel caso tutto quanto fosse stato dichiarato, da un punto di vista mediatico non ha rappresentato certo una lucidata alla loro immagine pubblica. In questo senso, in Islanda è dove si sono verificate le conseguenze più significative: il Primo Ministro Sigmundur Gunnlaugsson è stato costretto a dimettersi, in quanto fruitore di una società offshore che era, fra le altre cose, creditrice di alcune banche islandesi; cosa che, naturalmente, ha posto Gunnlaugsson in una posizione di forte conflitto di interessi (fece approvare, fra le altre cose, un provvedimento che prevedeva la parziale nazionalizzazione di queste banche al fine di renderle più solide). Discorso analogo per il neo presidente dell'Argentina, Mauricio Macri, la cui famiglia è emerso essere proprietaria di alcune imprese istitutrici una società offshore a Panama; Macri non si è dimesso, ma la crisi politica che sta vivendo da qualche mese è notevole. Al contrario, in altri Paesi i cui vertici istituzionali sono risultati coinvolti nello scandalo (Regno Unito e Russia su tutti con la comparsa dei nomi di David Cameron e Vladimir Putin) non è successo nulla. O meglio, Cameron si è dimesso, ma come noto per tutti altri motivi.

 

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Piccolo terremoto alla Fifa. Un'istituzione che invece ha risentito parecchio della divulgazione dei Panama Papers è stata la Fifa, l'ente mondiale del calcio. Juan Pedro Damiani, uno dei membri del Comitato Etico della Fifa che, curiosamente, avrebbe proprio il compito di monitorare la condotta dei membri dell'associazione, si è dimesso dal proprio incarico nell'ambito dell'inchiesta dei Panama Papers che, fra gli altri, coinvolgerebbe anche Eugenio Figueredo, ex vicepresidente e addirittura incriminato per frode e riciclaggio di denaro. Gianni Infantino, presidente della Fifa e a sua volta coinvolto in una brutta faccenda riguardante la vendita di diritti televisivi della Uefa ad una società offshore panamense, ne è uscito pulito e senza conseguenze rilevanti, al pari di Michel Platini, che comunque era già in aria di dimissioni per varie altre questioni.

E poi? Per il resto, nulla di rilevante da segnalare. Il motivo più evidente per cui, dopo tanto clamore, buona parte dell'inchiesta e finita in un nulla di fatto è che, di per sé, avere soldi in un paradiso fiscale non è un reato, a patto che venga dichiarato alle autorità competenti del proprio Paese d'origine. Ed è assai probabile che la maggior parte dei soggetti il cui nome era presente nella black list dei Panama Papers fossero, comunque, in regola. Un piccola macchia d'immagine, forse, ma nulla più. Era il caso di tirar su tutto il polverone che è stato?

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