Perché si parla di Gori in Regione
Le prossime Regionali sono distanti un anno e mezzo, ma già scaldano la politica lombarda. E quella nazionale. In seguito alla decisamente non brillante performance alle Amministrative del giugno scorso, infatti, il premier Renzi è quantomai deciso a non farsi scappare la ghiotta occasione di conquistare la Lombardia. Dopo essersi ripreso Palazzo Marino con Giuseppe Sala (suo uomo a differenza di Giuliano Pisapia), ora l'obiettivo è il 31esimo piano di Palazzo Lombardia, dove attualmente siede Roberto Maroni. Il primo passo di Renzi il tal direzione è stato mosso nei giorni scorsi, quando ha annunciato la firma del cosiddetto Patto per Milano: 2,5 miliardi di investimenti, di cui 650 milioni già finanziati, per le più disparate opere, dall'allungamento della metropolitana alla riqualificazione delle case popolari, dall'assunzione di nuovi agenti di Polizia alla gestione del rischio idrogeologico. Il messaggio all'elettorato è chiaro: dove c'è il Pd, le cose si fanno e non si dicono soltanto. Ma proprio questa mossa ha acceso la bagarre per la corsa a Palazzo Lombardia tra i democratici.
Gori e le dichiarazioni da governatore in pectore. I nomi in gioco per le prossime Regionali lombarde sono, in casa Pd, tre: l'attuale ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, l'attuale segretario regionale del partito Alessandro Alfieri e l'attuale sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Ma se i primi due nomi sono nati da proposte interne al partito, quella del primo cittadino orobico pare proprio essere un'autocandidatura. O almeno così hanno letto le sue recenti dichiarazioni diversi giornali nazionali. Gori, infatti, negli ultimi giorni s'è più volte esposto su temi che andavano ben oltre le Mura di Città Alta: «Bene il Patto per Milano, ma il Governo deve pensare a tutta la Lombardia. La Lombardia non è solo Milano. La Lombardia ha 12 province e 10 milioni di abitanti, ed è di gran lunga, nel suo insieme, la Regione che maggiormente contribuisce ai bilanci dello Stato. Pensare solo a Milano sarebbe quantomeno riduttivo». Dichiarazioni a cui ne sono seguite altre, definite addirittura "il programma" di Gori per le Regionali del 2018 da Italia Oggi: «Faccio il sindaco, quindi so quali sono le priorità della Regione: innanzi tutto l'immigrazione, credo che la Lombardia si sia sottratta colpevolmente alla responsabilità di indicare al Governo un modello più efficiente di accoglienza; poi la sanità poiché la riforma Maroni fa acqua da tutte le parti; e ancora il tema dell'autonomia, perché la Giunta regionale ha fatto molta scena ma non ha portato a casa nulla, invece bisogna essere concreti e aprire una trattativa col Governo sulla base di un federalismo differenziato».
Le accuse della Lega e la smentita. Parole a cui hanno ben presto fatto seguito sussurri e indiscrezioni che non sono passate sottotraccia a Bergamo. Anzi, hanno dato modo alle opposizioni cittadine di tornare a punzecchiare Gori. Il 15 settembre, su Facebook, il capogruppo della Lega a Palazzo Frizzoni Alberto Ribolla ha annunciato un’interpellanza in Consiglio Comunale incentrata proprio sui piani futuri del sindaco. Scrive Ribolla: «Dopo le numerose e continue notizie di stampa (mai smentite) secondo cui il sindaco di Bergamo sarebbe intenzionato a candidarsi come Presidente della Regione Lombardia, ho ritenuto opportuno presentare un’interrogazione urgente per fare chiarezza». Se infatti, sostiene Ribolla, «fosse confermata la candidatura di Gori in Regione sarebbe un fatto grave: significherebbe che Bergamo e i suoi cittadini verrebbero utilizzati come taxi per le ambizioni personali del nostro sindaco, che avrebbe già deciso, dopo solo due anni e mezzo, di andarsene dalla nostra città. Significa che invece di avere un progetto serio per la città aveva solo l’ambizione di fare altro». Una provocazione forse, ma certo ben più fondata di altre. A stretto giro di boa è comunque arrivata la lapidaria risposta di Gori attraverso uno striminzito comunicato stampa: «Faccio il sindaco con piacere e con il massimo impegno, come credo chiunque possa testimoniare. Non ho quindi mai pensato di candidarmi ad altri ruoli».
Gli altri nomi in campo: Martina e Alfieri. In realtà, voci interne al Pd raccontano una storia un po' diversa. Raccontano di un Gori non convinto ma certamente interessato alla scrivania di Palazzo Lombardia. A frenarlo, al momento, sarebbero soltanto le tempistiche: le prossime elezioni regionali si terranno nel 2018, le comunali a Bergamo nel 2019. Per fare una cosa sarebbe per forza costretto a mollare in corsa l'altra, di fatto "tradendo" la città, come lo accusano di voler fare i leghisti. Ma a frenare Gori sarebbero anche i pareri interni allo stesso Pd, che preferirebbero un nome diverso, più solido. Magari l'altro bergamasco Martina oppure Alfieri, perfetto emblema dell'uomo-partito. E proprio Alfieri, poco tempo fa, ha mandato un messaggio chiaro, sebbene passato un po' sottotraccia sulla stampa: nella riunione della segreteria regionale del Pd ha detto chiaro e tondo che è il caso, entro breve tempo, di organizzare le primarie di partito in vista delle Regionali. Un modo per evitare che un nome venga imposto dall'alto, perché in quel caso, conoscendo Renzi, è molto probabile che il nome scelto sia quello di Martina o di Gori, da sempre vicinissimo al premier. Insomma, Alfieri avrebbe cercato, legittimamente, di difendere la possibilità di giocarsi le proprie chance. Dalla parte del segretario regionale ci sarebbero diversi esponenti locali e nazionali del Pd, convinti che permettere a Gori di "mollare" Bergamo per correre alle Regionali sarebbe più un autogol che una scelta saggia in termini di consenso popolare. Nel frattempo il primo cittadino orobico dichiara, smentisce ma ci pensa.