Quasi 4 mila i casi registrati

A che punto è l'epidemia di Ebola

A che punto è l'epidemia di Ebola
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Il virus Ebola è, apparentemente, scomparso dai radar dei media nostrani, ma continua a mietere vittime in Africa. Il fatto che non siano più stati registrati casi di occidentali infettati, non significa certamente che l’epidemia più estesa dalla scoperta del virus nel 1976 sia sotto controllo. Anzi. I dati del 20 agosto parlavano di 2 mila e 615 casi, con 1.427 morti (una mortalità del 54,5%), tra Liberia, Sierra Leone, Guinea e Nigeria, rigorosamente in ordine di numero di casi registrati decrescente. Gli ultimi dati ufficiali si registrano invece 3 mila e 944 casi di Ebola, con 2 mila e 97 morti accertate. Gli studiosi hanno stimato che, entro la fine di settembre, si potrebbe toccare quota 6 mila casi. Il rischio per l’Europa, come ha spiegato l’Oms nella riunione tenutasi tra giovedì 4 e venerdì 5 settembre, è minimo, inferiore al 10%, ma la preoccupazione è tanta poiché le risposte mediche all’epidemia tardano ad arrivare. L’Organizzazione mondiale sanitaria ha anche ammesso che le cifre ufficiali, molto probabilmente, sottostimano la reale portata della situazione ed è per questo che proprio nella riunione tenutasi pochi giorni fa a Ginevra ha riconfermato l’ok all’uso di prodotti sperimentali, purché ci sia un consenso informato del paziente.

 

mappa dei casi NYTimes

Una mappa pubblicata dal New York Times relativa ai casi registrati di Ebola tra Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria.

In Sierra Leone si vara una quarantena nazionale. Dalle testimonianze che arrivano dai Paesi maggiormente colpiti, intanto, si capisce che la situazione è sempre più fuori controllo. Come ha spiegato Cecilia Strada, presidente di Emergency, al settimanale Pagina99, i sistemi sanitari dei Paesi africani sono al collasso. Gli ospedali chiudono perché il personale ha paura e si rifiuta di lavorare senza le necessarie protezioni. Così facendo viene però a mancare anche l’assistenza di base per le altre malattie e le emergenze, con la popolazione che si affida sempre più spesso a santoni e guaritori. Secondo quanto riportato dalla stampa britannica, il governo della Sierra Leone ha indetto quattro giorni di quarantena per tutta la popolazione, dal 18 al 21 settembre, nell’estremo tentativo di bloccare il diffondersi dei contagi e consentire agli operatori sanitari di identificare e isolare nuovi casi. Ma la situazione è già difficile, come confermano le parole di Clara Frasson, responsabile in Sierra Leone di Medici con l’Africa Cuamm (organizzazione non governativa di Padova, diretta da don Dante Carraro), che al sito de La Stampa spiega come, già oggi, sia impossibile per la popolazione muoversi liberamente. I posti di blocco dell’esercito lasciano passare solamente il personale sanitario autorizzato e il cibo inizia a scarseggiare. I mercati sono praticamente chiusi da un paio di mesi, la caccia alla selvaggina è vietata, il poco che rimane è schizzato a prezzi insostenibili. Darsi la mano è proibito, la gente ha paura degli altri e le scuole sono oramai chiuse da settimane per ospitare le persone malate.

Una corsa contro il tempo per una risposta medica. Si sperava che la soluzione all’epidemia fosse giunta con lo ZMapp, l’antibiotico americano che, su sei casi, aveva portato alla guarigione due medici americani. Gli altri quattro però, due sono ancora in cura, mentre gli altri due sono morti. Magri risultati, ma abbastanza per sperare. Purtroppo le scorte della società americana produttrice sono finite e ci vorranno mesi prima di averne di nuove. È stata ripresa in fretta e furia anche la sperimentazione su di un altro farmaco, chiamato Tkm-Ebola, che era stato bloccato per i gravi effetti collaterali che riportava, ma che ora appaiono il male minore data la situazione. Anche in questo caso, però, l’azienda produttrice non ha abbastanza dosi per fronteggiare l’epidemia. Le nuove possibilità arrivano dal Giappone e, incredibilmente, dall’Italia. Il governo giapponese ha reso noto di avere circa 20 mila dosi di un farmaco noto con il nome di Avigan, approvato contro l’influenza ma che, in fase sperimentale, aveva mostrato segni di efficacia anche contro il virus Ebola. Il 7 settembre invece, l’Irbm Science Park di Pomezia (Roma), ha reso noto di aver scoperto il primo vaccino efficace a lungo termine (10 mesi) contro l’Ebola. Creato e testato su scimmie, i risultati della scoperta sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature e a stretto giro inizierà anche la sperimentazione sugli esseri umani. Sulla stessa rivista è stato però anche pubblicato il commento di Oliver Brady, epidemiologo dell’Università di Oxford, che ha spento molti entusiasmi: se lo scenario dell’epidemia restasse quello attuale, secondo gli standard medici noti sarebbero addirittura 30 mila le persone da trattare. Una quantità che nessun farmaco o vaccino attualmente in studio riuscirebbe a coprire in poco tempo. Dello stesso avviso è anche Priya Sampathkumar, infettivologa alla Mayo Clinic di Rochester, che è ottimista sul fatto che l’epidemia possa venir bloccata, ma non attraverso sieri magici o scoperte rivoluzionarie: bisognerà isolare, per almeno 21 giorni, tutti i pazienti e coloro che sono entrati in contatto con essi, reidratare e compiere assistenza palliativa per i malati, prendere precauzioni vere per il personale sanitario e attuare decontaminazioni dopo ogni attività. Insomma, è più utile investire in un rapido cambio d’approccio all’epidemia piuttosto che in una fantomatica pozione guaritrice.

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