«È una vicenda che riguarda tutti noi»

Quei cento scesi in piazza sabato al grido di «Bossetti libero!»

Quei cento scesi in piazza sabato al grido di «Bossetti libero!»
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Erano un centinaio. Non tanti, certo, ma neppure pochi, visto il poco preavviso di una manifestazione nata, di fatto, sui social e convocata soltanto attraverso il passaparola. Erano un centinaio, alle 14 circa di sabato 7 ottobre, in piazzale Marconi, davanti alla stazione di Bergamo, per protestare contro la condanna all'ergastolo di Massimo Bossetti, l'uomo che in primo e in secondo grado di giudizio la giustizia italiana ha ritenuto colpevole dell'omicidio di Yara Gambirasio. E mentre per il carpentiere di Mapello la speranza resta appesa al filo della Cassazione, un nutrito gruppo di persone ha deciso di scendere in piazza per mostrare a tutti i tanti dubbi che hanno circa la ricostruzione di quel terribile omicidio del 26 novembre 2010 effettuata da Procura e Magistratura.

 

 

A "guidare le danze", armato di megafono, Claudio Salvagni, l'avvocato che sin dall'arresto di Bossetti avvenuto nel giugno 2014 è al fianco dell'uomo e che in più di un'occasione si è esposto, soprattutto mediaticamente, per affermare l'innocenza del suo assistito. Questa volta, però, non ha scelto uno studio televisivo o un'intervista (come le due che ha rilasciato anche a noi di BergamoPost) per rimarcare la propria posizione, ma una piazza: «Ci sono troppi elementi anomali nell’inchiesta che ha portato in carcere il mio assistito – ha detto il legale davanti alla folla, parole riportate da Bergamonews – . E sono emerse tutte nel corso del processi di primo e secondo grado. Per questo abbiamo rifiutato il rito abbreviato. Chiediamo ancora che venga fatta una nuova prova del Dna: quella scagionerebbe Massimo. Se la Cassazione confermerà la condanna, sarà come essere tornati nel Medioevo, quando non c’era possibilità di difendersi da accuse anche ingiuste».

 

 

Per dare più forza alla loro posizione, i presenti hanno distribuito ai passanti dei volantini in cui erano riportate tutte quelle che loro ritengono essere le anomalie del processo. E la domanda, naturalmente, era una soltanto: come sta vivendo questa situazione Bossetti? Dopo un prevedibile stato di choc e sconforto a seguito della sentenza di secondo grado di luglio, ora avrebbe ritrovato lo spirito battagliero, come ha spiegato Salvagni: «Sono stato a trovarlo poco fa, attende come tutti le motivazioni della sentenza di Brescia. È volenteroso di difendersi fino all’ultimo. La situazione che sta vivendo è drammatica, non tanto per il carcere e per l’essere privato di tutto, ma per l’impossibilità di difendersi. È una vicenda che non riguarda più il singolo caso, ma tutti noi».

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