Facciamo chiarezza

Questa questione dei sacchetti ci sta un po' sfuggendo di mano

Questa questione dei sacchetti ci sta un po' sfuggendo di mano
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È stata la prima sorpresa dell’anno: arrivati alle casse del supermercato abbiamo scoperto che le buste nelle quali avevamo messo frutta e verdura erano speciali e avevano un costo. Un costo risibile, ma del tutto nuovo. Un costo dettato dall’obbligo di uso esclusivo di plastica biodegradabile per i sacchettini “ultraleggeri” con i quali si pesano e si prezzano i prodotti sfusi come pane, ortaggi, frutta.

Quanto costano davvero. Cos’era successo? Era entrata in vigore la nuova norma votata dal governo ad agosto che allineava l’Italia alle normative fissate da Bruxelles per cercare di arginare l’invasione della plastica che sotto forma di sacchetti ammorba terra e soprattutto mari. L’Italia però ha voluto fare di più rispetto al resto d’Europa. Ha voluto dare più visibilità a questo cambio di stili di acquisto rendendone pienamente consapevoli i consumatori. Il modo è stato semplice: facendo pagare loro i sacchetti, con cifre che oscillano tra l’uno e i tre centesimi. In questo modo arrivati alle casse c’è un raddoppio di codici a barre, uno per il contenuto fresco e l’altro per il contenitore.

 

 

Le valutazioni fatte parlano di un aggravio aggiuntivo per le casse di una famiglia che va dai 15 ai 50 euro all’anno: cosa risibile rispetto agli aumenti in arrivò per luce, gas e autostrade. Oltretutto i sacchetti, che non possono essere riutilizzati per una nuova spesa, possono essere invece usati per la raccolta dei rifiuti umidi, laddove funziona la raccolta differenziata. Il che può diventare un risparmio.

Perché paga il cliente. Ci si è chiesti perché il costo non potesse essere lasciato sulle spalle dei commercianti, com’è sempre stato finora. Il ministro dell’Ambiente Galletti ha spiegato che se il rivenditore avesse dovuto farsi carico del costo, si sarebbero rischiati ricarichi incontrollabili sul conto finale. Insomma è stata una scelta di trasparenza. In più l’obiettivo è stato quello di dare un valore al bene, prima in apparenza gratuito. Ciò induce a comportamenti più consapevoli.

 

 

Complotto? Non ci fossero le elezioni alle porte, il caso si sarebbe risolto velocemente. Invece è scattata la polemica per il fatto che l’azienda leader della bioplastica è un’azienda la cui titolare, Caria Bastioli, non ha mai nascosto la sua simpatia per Matteo Renzi. La presidente di Novamont aveva partecipato alla prima Leopolda ed era stata nominata da Renzi alla guida di un’azienda di Stato, Terna. Incarico riconfermato nel 2017 dal nuovo premier Gentiloni. In realtà i produttori di sacchetti in bioplastica sono oltre 150 e quindi la concorrenza è ampia.

Una contestazione sul materiale. Si potrebbe invece contestare, come ha fatto oggi il Sole 24 ore, quotidiano di Confindustria, che in questo modo si «tagliano fuori dal mercato materiali biodegradabili di origine fossile che si biodegradano in modo invidiabile, come le plastiche Pbs da acido succinico, che hanno impatti ambientali ottimi». Sempre il Sole mette qualche dubbio sulla effettiva compostabilità dei nuovi sacchetti. «Le bioplastiche a base di amido, come le più note, diventano poco biodegradabili nell’acqua fredda e salata, dove invece hanno dato ottimi risultati i polidrossialcanoati Pha di cui è fortissima una piccola azienda italiana meno conosciuta, la Bio-On», scrive Jacopo Gilberto. E i consumatori? Pare che si stiano dirottando in massa sui prodotti freschi preconfezionati. Ovviamente avvolti nella vecchia plastica...

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