Si salvò solo un operaio

ThyssenKrupp, pene ridotte Dal rogo a oggi, tutta la vicenda

ThyssenKrupp, pene ridotte Dal rogo a oggi, tutta la vicenda
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È stata emessa oggi, venerdì 29 maggio, la sentenza, la seconda d’appello, riguardante i sei dirigenti dell’azienda tedesca ThyssenKrupp, accusati in relazione all’incidente avvenuto a Torino nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007, in cui morirono sette operai. Il verdetto ha lasciato tutti piuttosto spiazzati, specie i famigliari delle vittime: le pene previste dal primo processo d’appello sono state addirittura diminuite. Rispetto alla sentenza emessa nel 2013 dal Procuratore di Torino Carlo Destro (ovvero 10 anni per l’ex amministratore delegato Herald Espenhahn, 9 per Daniele Moroni, 8 per Cosimo Cafueri e Raffaele Salerno, e 7 per Gerald Priegnitz e Marco Pucci) la nuova pronuncia prevede una riduzione di un anno per Moroni, di 6 mesi per Salerno e Cafueri, e di 2 mesi per Espenhahn. Invariate invece quelle per Priegnitz e Pucci.

L’incidente del 2007. Era la notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando, poco dopo l’una, sulla linea 5 dell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino sette operai vennero investiti da una fuoriuscita di olio bollente, che prese fuoco. I colleghi chiamarono i vigili del fuoco, all’1.15 arrivarono le ambulanze del 118, e i feriti vennero trasferiti in ospedale. Alle 4 del mattino morì il primo operaio, Antonio Schiavone. Nei giorni che seguirono, dal 7 al 30 dicembre 2007, morirono le altre sei persone ferite in modo gravissimo dall’olio bollente: si trattava di Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino. Degli operai coinvolti nell’incidente, l’unico superstite e testimone oculare fu Antonio Boccuzzi: lavorava nella Thyssen da 13 anni ed era un sindacalista della UILM, e il suo ruolo sarebbe risultato centrale nelle accuse all’azienda.

 

 

Le denunce a ThyssenKrupp. I sindacati denunciarono immediatamente l’inadeguatezza delle misure di sicurezza nello stabilimento. Le testimonianze di Boccuzzi e degli altri operai accorsi sul posto dell’incidente parlavano di estintori scarichi, telefoni isolati, idranti mal funzionanti, assenza di personale specializzato. Non solo: alcuni degli operai coinvolti nell’incidente pare lavorassero ininterrottamente da dodici ore. Lo stabilimento Thyssen di Torino, si scoprì, era in via di dismissione, e quindi da tempo l’azienda non investiva adeguatamente nelle misure di sicurezza e nei corsi di formazione.

La difesa. Da par suo, ThyssenKrupp rigettò ogni tipo di accusa, additando invece la disattenzione degli operai come causa dell’incidente: lì accusò, in particolare, di avere provocato l’incidente con la loro negligenza, e addirittura con «colpe», salvo poi correggersi e parlare di «errori dovuti a circostanze sfavorevoli». Nel corso delle indagini, la Guardia di Finanza sequestrò ad Harald Hespenhahn, amministratore delegato, un documento riservato in cui si legge che Antonio Boccuzzi (che intanto continuava a raccontare quanto visto sui giornali e in tv) andava «fermato con azioni legali». Il documento criticava pesantemente il pm di Torino, Raffaele Guariniello, e l’allora Ministro del Lavoro Cesare Damiano, sul quale non si poteva fare affidamento perché «schierato dalla parte dei lavoratori».

 

 

Il processo. Le indagini si conclusero brevemente, e la Procura chiese il rinvio a giudizio per sei dirigenti dell’azienda tedesca, quelli citati. L’accusa era omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso, poiché, si leggeva nell’imputazione, «pur rappresentandosi la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali, in quanto a conoscenza di più fatti e documenti, e accettando il rischio del verificarsi di infortuni anche mortali sulla linea 5, i dirigenti hanno cagionato la morte dei sette operai omettendo di adottare misure tecniche, organizzative, procedurali, di prevenzione e protezione contro gli incendi». Si andò a processo a gennaio del 2009. Durante le udienze, emersero altri particolari circa il funzionamento dello stabilimento: un operaio raccontò che la fabbrica veniva pulita solo in corrispondenza alle visite della Asl; un altro affermò che l’impianto si fermava solo in caso di problemi alla produzione, se no si interveniva, in caso di manutenzione, con la linea in movimento. Altri testimoni dichiararono che gli incendi sulla linea 5 erano molto frequenti, ma gli operai venivano invitati a usare il meno possibile il pulsante di allarme. Nel luglio 2008, poi, ThyssenKrupp versò ai parenti degli operai morti una somma complessiva pari a 13 milioni di euro, a titolo di risarcimento, al fine di scongiurare che questi si costituissero in processo come parte civile lesa.

Le sentenze. Il dispositivo di primo grado della Corte d’Assise di Torino, arrivato il 15 aprile 2011, condannò Harald Espenhahn a 16 anni e 6 mesi di carcere, Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento di Torino, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, membri del comitato esecutivo dell’azienda, a 13 anni e 6 mesi, e infine Daniele Moroni, membro del comitato esecutivo dell’azienda, a 10 anni e 10 mesi.

 

 

Il giudizio d'appello annullato. Nell’aprile 2013 arrivò il giudizio d’appello, che abbassò le pene: la Corte d’Assise d’appello infatti, presieduta dal giudice Gian Giacomo Sandrelli, non riconobbe l’accusa di omicidio volontario per l’amministratore delegato Harald Espenhahan, e lo condannò ad una pena di dieci anni (omicidio colposo). Sette anni fu la condanna per i manager Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 9 anni per il dirigente Daniele Moroni, 8 e 6 mesi per il direttore dello stabilimento torinese Raffaele Salerno, e 8 anni per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri. Ma circa un anno più tardi, le sezioni penali unite della Corte di Cassazione annullarono le condanne emerse dal processo in appello, stabilendo che avrebbe dovuto esserci un nuovo secondo grado, sempre a Torino. I giudici supremi confermarono sì la responsabilità degli imputati per omicidio colposo, ma annullarono la parte della sentenza di appello che riguardava la circostanza aggravante circa le omesse misure di sicurezza. In sostanza, dunque, la colpevolezza era assodata e non poteva essere più confutata, ma le pene dovevano essere ricalcolate.

Lo sgomento dei famigliari. Proprio oggi, dunque, è stata emessa la nuova sentenza di appello, con le pene diminuite. «Uno schifo», questo è stato il commento da parte dei parenti delle vittime, che intendono proseguire nella battaglia processuale. Si vocifera che ci sia addirittura l’intenzione di rivolgersi alla Corte europea per i Diritti dell’Uomo.

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